Aprile è il mese scelto da mia nonna per venire al mondo. Il mese occupato dalla Liberazione dal nazifascismo. Il mese che si accoppia a Maggio con la festa dei lavoratori. Maggio è il '68. Maggio è "le Ceneri di Gramsci" di Pasolini. Maggio è la nostra età, un giardino offuscato da "un'impura aria" che prima o poi torneremo a liberare.
E' morto lunedì sera, a Roma, Aldo Natoli. Comunista, medico, detenuto sotto il fascismo, partigiano. Consigliere comunale nella Roma del "sacco" e parlamentare. Fondatore de il Manifesto, studioso profondo di Gramsci e della storia. Aveva 97 anni, è vissuto più del "secolo breve". Se lo è vissuto tutto, partecipando. La frase che ho scelto per titolo di questo piccolo post è quanto disse Natoli al XII Congresso nazionale, dove il Comitato centrale lo radiò insieme a Luigi Pintor e Rossana Rossanda per le loro parole e idee troppo ribelli e distanti dall'allora Pci impresse sul Manifesto, ancora solo mensile.
ti scrivo da un uno dei molti campi profughi palestinesi del Medio Oriente, la vera verità di Israele, le sue fondamenta... Ti scrivo da Yarmuk, in Siria, dove mi trovo ora. I Palestinesi che vivono qui sono l'immagine vivente dell'ospitalità di Israele, che tu hai lodato qualche giorno fa.
Perché 100mila palestinesi sono qui ammassati e non nelle loro belle case di Haifa, Salfid, Nablus, Gerusalemme? Ti scrivo oggi, ma avrei voluto farlo da tempo, da quando cioè hai iniziato a pronunciarti su un argomento fisicamente lontano alla camorra ma pur sempre vicino a tematiche universali quali la giustizia e l'onore delle persone che desiderano vivere in giustizia: Israele.
Il 7 Ottobre scorso hai esplicitato le tue idee in proposito durante il discorso all'evento promosso da Fiamma Nirestein, Verità per Israele. Hai parlato di Tel Aviv quale città di tolleranza. Hai parlato di Israele quale accogliente democrazia sotto assedio. Ciò mi ha molto colpito, davvero non capisco come un intellettuale del tuo spessore possa pronunciarsi senza essersi prima documentato.
Ho vissuto in Palestina fino al luglio scorso, dal mio balcone potevo osservare i confini di Gilo, uno degli insediamenti illegali condannati dal diritto internazionale, quello dove la Signora Nirestein, tua ospite, pare abbia comprato una casa. Quei confini si espandevano sotto i miei occhi mentre leggevo il tuo libro, Gomorra, apprezzandone infinitamente la scrittura e la passione intrinseca. Quella stessa passione aveva condotto me in Palestina. Lo stesso desiderio di fare chiarezza, dire al mondo la verità, scoprire il vero significato dell'onore, di cui tu stesso parli spesso: "Spingersi ad agire indipendentemente dalle conseguenze per il solo fatto di credere che esistano delle cose che hanno un valore universale ed è impossibile rinunciarvi a qualunque costo e soprattutto indipendentemente dalle conseguenze". Quell'onore io l'ho visto incarnarsi negli occhi di N. quando rinunciava a collaborare con gli Israeliani e per questo condannava la figlia a rimanere senza cure ospedaliere, questo onore l'ho visto negli occhi di A. quando arrivava a lezione sanguinante dopo essere stato picchiato selvaggiamente ad un check point, quell'onore è dei ragazzini che tirano pietre contro soldati armati di tutto punto. L'onore di un popolo che resiste contro una forza occupante e contro un progetto coloniale che ha molte similitudini con quello dell'Apartheid Sudafricana. L'onore di chi lotta per i propri diritti, riconosciuti da molteplici dichiarazioni delle Nazioni Unite, dalla Corte Internazionale di Giustizia, dalla Comunità Europea.
Qual è l'onore di Israele? Qual è l'onore di un progetto coloniale che ha causato 7 milioni di profughi, 8000 prigionieri politici (di cui 305 bambini secondo quanto documentato da Defence for Children International), che ha trasformato un paese in un formaggio groviera, scavando sotto i piedi della popolazione tunnel e autostrade per soli ebrei, costruendo sulle pendici delle colline insediamenti illegali per soli ebrei, bloccando le strade che portano i contadini palestinesi ai propri campi e alle loro case, che ha sradicato come carote uliveti millenari? Non sto mentendo Roberto, ogni cosa che dico è stata selvaggiamente documentata, selvaggiamente ed inutilmente, a quanto pare. Uno dei maggiori successi della propaganda israeliana è l'oscuramento della realtà storica e politica dell'occupazione del territorio palestinese da parte di Israele. Quando dici che Israele è un paese accogliente dovresti infatti pensare ai 7 milioni di profughi palestinesi nel mondo che non hanno beneficiato di tale generosità. Quando definisci Israele una democrazia dovresti sapere che un cittadino israeliano arabo non ha gli stessi diritti, quando si sposa o compra casa, di un cittadino ebreo. Dovresti interrogarti sulla contraddizione insita all'espressione con cui Israele stesso si definisce: Stato Ebraico e Democratico. Chi non è ebreo beneficerà di tale democrazia?
Dovremmo infine tutti interrogarci sulla storia di Israele, quando ci avventuriamo a descriverne la verità. Tale storia ci narrerà gli eventi della pulizia etnica perpetratasi a danno del popolo indigeno palestinese, dal 1948 fino ad oggi. Diversi storici israeliani hanno documentato questa realtà: Ilan Pappe, Avi Shleim, Benny Morris. Quella storia ci farà capire che non abbiamo di fronte due popoli che lottano sullo stesso piano, con pari diritti: ma un popolo colonizzatore ed un popolo indigeno, un oppressore e un oppresso. E la verità avrà altri occhi. D'altronde, lo hai ricordato tu stesso, "verità e potere non coincidono mai". Per questo ci si deve allontanare dal potere per avvicinarsi alla verità. Ecco perchè ti invito in Palestina: in Shoada Street, a Balata, a Male' Adumim. Laggiù anche le domande più acute si dimostrano inutili di fronte all'evidenza di un progetto, di fronte agli occhi umani a cui quel progetto vuole strappare lo sguardo. E sono certa che lo scrittore di Gomorra non potrà che capire.
Fidel Castro è uno dei miei più grandi amici. Sono orgoglioso di essere fra quelli che appoggiano il diritto dei cubani a scegliere il proprio destino. Le sanzioni che castigano i cubani per avere scelto l’autodeterminazione, si oppongono all’ordine mondiale che vogliamo instaurare. I cubani ci hanno donato tante ricchezze come l’istruzione per lottare e vincere. Sono un uomo leale e mai dimenticherò che nei momenti più oscuri della nostra patria, nella lotta contro l’apartheid, Fidel Castro era al nostro lato.
Questa frase è di Nelson Mandela. Pronunciata nella sua dichiarazione alla conferenza stampa con il presidente Bill Clinton a Città del Capo, in Sudafrica, il 27 marzo 1998. (Avrei voluto vedere la faccia di Clinton a sentire queste parole!!)
Invito tutti coloro che ne sanno poche su Cuba, che magari pensano di avere una loro opinione ma in fondo si rendono ben conto che si tratta solo dell'opinione che ci viene inculcata e che nulla di libero e personale c'è dentro questa loro idea, a leggere questo articolo di Gianni Minà.
Certo, già me li vedo quelli che stanno storcendo il naso e stanno per dire "Si, vabè, Minà difende sempre Cuba a spada tratta, che vuoi che ti dica". E invece no, per due ragioni: la prima è perché bisogna leggere tutte le opinioni e nessuno creda che leggere Repubblica, o altri, o vedere il Tg1, o altri, siano sinonimi di informazione scevra da opinioni; la seconda è che in questo articolo Minà riporta dichiarazioni di Obama, della Cia, di Amnesty International e Onu.
Lo so, è parecchio lungo, quindi ora proverò a riassumere i punti principali, anche se vi assicuro che merita di più spendere 5 minuti del proprio tempo a leggere l'originale che 2 a capire un riassunto. Ma tant'è. So che avete tutti sempre fretta e allora...un riassunto magari è meglio di niente.
L'articolo inzia dai numeri: ora a Cuba c'è un solo prigioniero politico. Si tratta di Rolando Jiménez Pozada, in carcere “per disobbedienza e per aver rivelato segreti di Stato”. I detenuti politici erano 27 lo scorso agosto, quando poi il ministro degli esteri spagnolo, Moratinos, insieme alla Chiesa cattolica riuscirono a intercedere su Raul Castro per la loro liberazione. Secondo Amnesty queste persone liberate erano state imprigionate per “aver ricevuto fondi o materiali dal governo degli Stati Uniti per porre in essere attività che la Revolución considerava eversive e pregiudiziali per Cuba”. Ma secondo il diritto internazionale, il finanziamento dall'esterno di una opposizione interna ad uno stato sovrano è illegale. La stessa cosa la dice Wayne Smith, capo dell’ufficio di interessi degli Stati Uniti a l’Avana dal 1979 al 1982, sotto il presidente Jimmy Carter. “Nessuno dovrebbe dare denaro ai dissidenti, e ancor meno con l’obiettivo di far cadere il governo cubano perché, quando si esplicita questo obiettivo, si mettono gli stessi dissidenti nella condizione di diventare agenti pagati da una potenza straniera per abbattere il proprio governo”.
Restiamo negli Usa. L'attuale presidente Barack Obama ha prorogato l’estensione della “Legge contro il commercio con il nemico”: legge che mantiene il blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba. Questo perché, ha scritto Obama di suo pugno, “la continuazione per un anno di queste misure riguardanti Cuba conviene agli interessi nazionali degli Stati Uniti”.
Minà, poi, sottolinea che Cuba è l'unico paese al mondo ad avere ancora questa misura: nel 2008 il presidente Bush la tolse anche alla Corea del Nord.
Da questo punto l'articolo parte in una raccolta di casi esemplari su cui la stampa internazionale ha taciuto (dalle fosse comuni in Colombia e Messico, fino al disastro cinese sui diritti umani), mentre si continua a fare una guerra mediatica contro Cuba.
Arrivo così alla fine dell'articolo, e della vostra pazienza forse, per dare un po' di date, numeri e citazioni.
1) In giro per il mondo, soprattutto nelle favelas del sud America, ci sono circa 70mila medici cubani che prestano il loro lavoro in luoghi dove spesso "non arrivano nemmeno le agenzie dell’Onu".
2) "Dalla Scuola di medicina de l’Avana, fondata 10 anni fa là dov’era la scuola della marina, sono già stati laureati più di settemila ragazzi, provenienti dai paesi più poveri del mondo, che hanno preso l’impegno di andare a esercitare la professione nei luoghi più impervi dei loro paesi".
3) In queste scuole ci sono perfino studenti dei ghetti delle grandi città nordamericane, che non avrebbero mai potuto diventare dottori nel paese più ricco del mondo. Non a caso, proprio Obama ha dichiarato: “L’impatto dei medici cubani nel sud del mondo è stato più vincente di molte nostre strategie politiche”.
4) "Qualche anno fa uno tsunami travolse le nazioni affacciate sull’Oceano indiano, l’Indonesia chiese all’Onu come organizzarsi in caso di ripetersi del terribile fenomeno. Bene, le Nazioni unite consigliarono di rivolgersi a Cuba, dove la Protezione civile era magari povera, ma efficientissima e organizzata".
5) Quando Cuba fu liberata dalla Rivoluzione castrista (questo ve lo scrivo io, ricordandomi del mio viaggio in quel Paese) l'Avana era "proprietà" di mafiosi americani e capitale americana (in questo caso intendo dell'intero continente) della prostituzione. A poche ore di volo da New York gente come Al Capone aveva i tropici e un paese dove poteva fare come gli pareva. L'Avana vecchia, ora patrimonio dell'Unesco, secondo i piani di Al Capone, supportati dagli Usa, sarebbe stata rasa al suolo per farci hotel a 5 stelle e locali notturni per statunitensi. Per fortuna è arrivato Castro.
6) E sulla prostituzione: che ne parliamo noi, con le nostre escort sdoganate, ha di certo un suo perché. Ma parlarne con il crocifisso al collo e scrollando il capo in tono moralistico, credo ci faccia fare ancora più una figura di merda.
L'artista statunitense Patti Smith, poetessa, cantante, musicista e pittrice, si è esibita sabato scorso (31 luglio) a Civitanova Marche. Una delle tante tappe del suo tour We shall live again. Un titolo, questo, che prende spunto da una sua canzone, "Ghost dance" del 1978, che tratta dello sterminio delle popolazioni indigene d'America nei secoli dell'invasione europea.
Ogni concerto di Patti Smith è rigenerante, materno. Ti coccola e allo stesso tempo ti svela la meschinità di quanto ci circonda. Ma non tutto si esaurisce in quel pantano di guerre, potere ed egoismi che le parole e la musica di Patti Smith descrivono. "We shall live again". C'è una "resurrezione" che passa attraverso l'arte, la poesia, il rock e l'amore. Soprattutto, come spesso ripete lei stessa nei suoi concerti, bisogna essere forti e ribellarsi; usare la propria testa e il proprio cuore. Il suo è un richiamo al coraggio. Quello che ha avuto lei stessa quando, appena ventenne e già madre, è scappata dalla provincia e si è rifugiata a New York. Ha dormito per mesi tra metropolitane e parchi vivendo alla giornata, con qualche poesia e qualche lavoro in libreria. Fino all'incontro con un giovane e non ancora affermato Mapplethorpe e tutti gli artisti newyorkesi della fine degli Anni 60 e l'inizio dei 70. Il coraggio, insomma, di essere liberi, di tentare di opporsi al sistema e di essere "outside of society" come ha scritto in Rock 'n roll nigger.
Da molti anni seguo Patti Smith nelle sue peregrinazioni italiane e nella sua evoluzione artistica. I suoi ultimi album sono molto diversi da quelli iniziali e non sempre mantengono quella potenza e quella innovazione che hanno contraddistinto i primi venti - venticinque anni di produzione di Patti Smith. La sua voce, però, sembra migliorare nell'invecchiamento, proprio come il vino. E' sempre più pulita e precisa. Raggiunge tonalità molto profonde e cupe, quasi inusuali per una voce femminile. Garantisce una espressività fatta di vocalizzi mai banali e ripetitivi, volumi sempre diversificati per sottolineare il testo e un'intonazione sempre impeccabile. Una voce potente che cresce in sensibilità. (Una nota di non poco merito se si contano tutti i Grandi sfiatati...).
Sarò di parte, ma il mio consiglio è di non perdere nulla di questa donna, cantante e artista, che molto ha dato e continua a dare all'arte e al benessere di tutti noi. Lo fa in un modo discreto, senza troppe copertine e interviste, senza enfasi sul suo lavoro o sugli anni '70, senza considerarsi una diva, nè un mito, nè un'eroina. Sempre nei suoi panni comodi, ma senza più tante giacche di pelle, forse un po' vecchie per la sua età!
Inizia oggi ad Ancona la seconda festa nazionale dell'Anpi e durerà fino a domenica 27 giugno. La stupenda Mole Vanvitelliana ospiterà artisti, forum, incontri, presentazioni di libri, concerti e spettacoli teatrali. Ma perché proprio Ancona? I motivi sono molti. Iniziamo con quanto ha detto il presidente regionale dell'Anpi Nazzareno Re. «C'erano diverse città sicuramente più autorevoli della nostra ad essere candidate - ha spiegato - ma la scelta è caduta sulla nostra regione perché è stata la prima a promuovere le nuove iscrizioni, e ormai la percentuale di non partigiani ha raggiunto la quota del 90%». Di questo, il merito è di Emiliano Ferretti, nome di battaglia 'Ferro'. Comandante partigiano morto nel 2007 che prima di altri capì l'importanza di fare entrare i giovani nell'associazione. Ora, infatti, ad andare nelle scuole medie e superiori marchigiane per parlare di Resistenza trovate molti giovani al fianco dei partigiani rimasti.
Questo è il motivo ufficiale. Ma vorrei ricordare che questa città è stata ribattezzata città-rossa da Mussolini che, proprio per questo carattere ribelle, inviò ad Ancona squadre speciali e le inflisse segni architettonici indelebili (vedi il passetto che ha la forma dell'aquila o il fascio littorio affisso sulla parete rocciosa a destra del porto, sotto San Ciriaco). Dall'Ancona anarchica di Malatesta partì la settimana rossa. Pochi anni dopo, durante il biennio rosso, la rivolta dei bersaglieri che si rifiutavano di andare in guerra in Albania fu sostenuta da tutta la popolazione. Durante il ventennio, la città ha dimostrato più volte la sua repulsione verso il regime. E, per i lutti e i danni causati dai bombardamenti degli alleati (solo 300 persone sono morte dentro un rifugio!), Ancona ha avuto la medaglia d'oro al valore civile.
Certo, ora la città è cambiata. Ma il suo carattere insofferente e ribelle resta. Forse è per come è fatta e forse è anche grazie al suo porto che le fa vivere situazioni di sofferenza, lontane dal perbenismo e dalla legalità ottusa. Forse è anche per la sua fusione con quello spirito greco e balcanico, duro, scettico, ma anche libero.
Dirsi antifascisti, membri dell'Anpi e parlare di Resistenza non è fuori dal tempo e dalla realtà. Quelle sono le nostre radici che in momenti bui come questi dovremmo non perdere.
Prendiamo la libertà di stampa così messa a dura prova dagli attacchi continui del potere. La Resistenza e l'antifascismo (che durò per tutto il Ventennio) ci testimoniano qualcosa di importante. Qualcosa che vidi scritto su un muro in America Latina: I diritti non si mendicano, si strappano. La stampa clandestina, la circolazione di materiale contro il regime e la libertà di pensiero non furono cancellati totalmente dal fascismo. Continuarono a esistere, ma le persone che le mantennero in vita rischiarono per primi la loro pelle, la loro libertà e il loro futuro. Non mi interessa definire quanto sia fascista il potere attuale, quanto sia una dittatura l'Italia in cui viviamo....mi interessa ricordare da dove veniamo. Non bastano scioperi e manifestazioni. L'antifascismo ci dimostra che si può fare anche dell'altro. I giornalisti oggi possono pubblicare libri per liberare gli editori dei giornali dal pericolo di incorrere nelle multe salatissime previste dal ddl sulle intercettazioni e possono addirittura pubblicare evitando le Case editrici tradizionali, attraverso siti come ilmiolibro.it o melostampo.it. Certo che la situazione è grave e che gli espedienti non possono né giustificarla né legittimarla. Ma basta piangerci addosso. Prendiamoci i diritti. Alla fine resterà solo una domanda: se un paese che costringe le persone a ricorrere a degli espedienti per raccontare la realtà sia davvero democratico. Ma è un problema di definizione. Ora come ora è importante prendere atto del fatto che i diritti non possano calare dall'alto. Dobbiamo prendercerli e rischiare. Come è scritto sul Conte di Montecristo "Resistere è già vincere".
Ieri il Senato ha approvato il ddl sulle intercettazioni. Anche questo piccolo spazio si unisce al 'lutto' di stampa e magistratura. Un lutto che spero diventi protesta molto ampia e duratura. Soprattutto, quotidiana.
Il ddl di cui si parla da molto tempo è scandaloso e incoerente. Infatti, quello stesso governo che propone, per chiarezza e rispetto dei cittadini, di mettere i compensi dei giornalisti nei titoli di coda dei programmi Tv, poi, per rispetto dei suoi affari, vieta di fare conoscere alla giustizia e alle persone i grandi abusi di potere, corrotto e mafioso, che questo paese subisce.
Se siamo arrivati a questo punto, è anche responsabilità nostra: i cittadini e i giornalisti dovevano fare qualcosa per impedire il progredire di questo tipo di sistema. Non ci siamo riusciti? o forse non lo abbiamo fatto bene e nel modo giusto? Allo stesso tempo, è totalmente responsabilità nostra fare in modo che lo scempio di questa democrazia non vada avanti. Cos'altro devono farci, per capirlo e agire?
Oggi, a pagina 6 del quotidiano "La Stampa" c'era un articolo sul negoziato tra Fiat e sindacati per la produzione della Panda a Pomigliano D'Arco (Na). I lettori mi perdoneranno se in questo post non parlo della questione Fiat, ma di un argomento forse più stupido, ma a mio avviso altrettanto significativo. A pagina 6, infatti, c'è anche un bel grafico a supporto dell'articolo. C'è una cartina d'Italia in cui sono segnati i confini delle regioni e quelle in cui si trovano impianti Fiat sono evidenziate. Viene menzionata la città in cui c'è lo stabilimento del Lingotto con tanto di provincia di appartenenza. Scorro le varie regioni, città, province e poi qualcosa non mi torna. Ad un certo punto leggo, infatti, che a Val di Sangro, in provincia di Chieti, si produce il Nuovo Ducato. Ma secondo "La Stampa" Val di Sangro, in provincia di Chieti, sta nelle Marche. Poi però, la regione colorata nella cartina è quella giusta: l'Abruzzo. E visto che ogni tanto si parla di abolizione e nascita delle province, vorrei proprio dedicare questo post a tutti quelli che non solo non conoscono la geografia, ma che non sono neanche colti dal dubbio di dovere controllare. Almeno su Wikipedia.....
Allora, ricominciamo. Le Marche è una regione dell'Italia centrale. Confina a nord con l'Emilia-Romagna e la Repubblica di San Marino; a ovest con Toscana, Umbria e Lazio; a sud con l'Abruzzo e a est è interamente bagnata dal mare Adriatico. Il capoluogo è Ancona, il cui nome deriva dal greco e significa "gomito". Infatti, se si guarda la cartina, il punto su cui sorge Ancona, ai piedi del monte Conero, sembra proprio un gomito. Le province sono: a nord Pesaro-Urbino; al centro Ancona; più sotto Macerata; Fermo e Ascoli Piceno. Non sono molti i marchigiani, poco più di un milione e mezzo di anime. In compenso, è la Regione d'Italia con il più alto numero di teatri. Non solo, le Marche contiene più teatri di tutti quelli che le altre regioni italiane possono mettere insieme. La regione soddisfa tutti, avendo montagne su cui si può sciare, colline sui cui passare delle belle giornate di riposo, pianura per le città più popolate e mare in cui nuotare. Lo stemma mostra un picchio, che è parte della M di Marche, appunto. La regione ha avuto un passato sotto lo stato Vaticano (nessuno è perfetto!) ed è per questo, si dice, che non ci siano mezze misure tra il popolo marchigiano: o clericali o anarchici. La Resistenza marchigiana è stata, infatti, una delle più attive e la più importante dell'Italia centrale, pur essendo a volte scollegata al suo interno, a causa della morfologia del territorio che rendeva ostico il collegamento tra i vari grupp. Attualmente è retta dal Pd di Gian Mario Spacca, ma è l'unica regione in cui le tre sinistre (Rifondazione Comunista, Comunisti italiani, Sinistra ecologia libertà) si sono presentate unite raggiungendo il 7,2% alle scorse elezioni. Tanti sono i personaggi noti nati in questa terra e io potrei continuare all'infinito a parlare delle mie Marche. Ma mi fermo qui. Il succo di tutto questo post erano: 1) la ricollocazione di Val di Sangro nell'apposita regione; 2) il suggerimento a tutti i dubbiosi, che evidentemente non hanno figli alle scuole elementari che girano per casa recitando a memoria le province d'Italia, di controllare e di dubitare della propria sapienza!
Questo è il video dell'azione della marina israeliana contro il convoglio della Freedom Flotilla, avvenuta all'alba di oggi in acque internazionali davanti alla Striscia di Gaza. La nave stava andando verso la Striscia per portare aiuti umanitari alla popolazione, sotto embrago da 4 anni. I militari israeliani si sono abbassati sopra le navi e hanno sparato: le vittime sono almeno 19, ma il numero sembra salire in questo momento a 25.
Inoltre, lo stesso esercito israeliano ha ammesso di avere attaccato a 70-80 miglia dalla costa, trasgredendo quindi gli accordi di Oslo del 1993 che consentono a Israele il controllo entro le 20 miglia. Secondo le ong, dunque, l'assalto in acque internazionali è illegale.
Il dato più grave è che Israele continua a uccidere. Anche persone pacifiche che portano aiuti umanitari. Il caso forse più conosciuto è quello di Rachel Corrie, la ragazza statunitense schiacciata dai bulldozer israeliani il 16 marzo 2003, mentre cercava di opporsi insieme ad altri attivisti alla demolizione di edifici e case a Rafah.
Il boicottaggio può essere una delle tante forme di opposizione alla politica israeliana di occupazione e guerra.
Lo scorso anno, il Pesaro Film Festival dedicò una sezione al cinema israeliano. L'evento suscitò la reazione di molti gruppi politici, locali e non, che lanciarono il boicottaggio della mostra. Pochi giorni fa, Coop e Conad hanno annunciato di sospendere la commercializzazione dei prodotti provenienti dalle colonie istraeliane nei territori palestinesi occupati. Questa decisione è nata dalla denuncia che hanno fatto alcuni soci e attivisti della coalizione italiana contro Carmel-Agrexco, il più grande esportatore istraeliano di prodotti agricoli (esporta il 60-70% dei prodotti dalle colonie). L'Agrexco è un'azienda per metà di proprietà dello Stato di Israele che commercializza prodotti ortofrutticoli. L'accusa che le viene mossa contro è di legare i suoi affari all'economia dell'occupazione.
Oggi alle 17 in piazza S. Marco a Roma ci sarà una manifestazione di protesta contro gli attacchi militari di Israele.
Ecco una poesia di Rachel Corrie.
La Terra è ricolma di paradiso
Rachel Corrie *
2003
Questo è un momento perfetto è un momento perfetto per molte ragioni ma soprattutto perché tu ed io ci stiamo svegliando dalla nostra complicità sonnambula, tonta, ciucciadito con i maestri dell'illusione e della distruzione.
Grazie a loro, da cui fluiscono queste benedizioni dolorose, ci stiamo svegliando.
Le loro guerre e torture, i loro diavoli e confini, estinzioni di specie e malattie nuove di zecca, il loro spiare e mentire in nome del padre, sterilizzando semi e brevettando l'acqua, rubando i nostri sogni e cambiando i nostri nomi, i loro brillanti spot pubblicitari, le loro continue prove generali per la fine del mondo.
Grazie a loro da cui fluiscono queste benedizioni dolorose, ci stiamo svegliando.
Grazie a loro, da cui trasudano questi spaventosi insegnamenti, ci stiamo svegliando.
Le loro dolorose benedizioni stanno squarciando quell'allucinazione di massa amara e raggrinzita erroneamente chiamata realtà.
Cominciano ad arrivare a valanga notizie sull'autentica casa dell'anima, infiltrandosi nei nostri sogni ad occhi aperti sempre più lucidi.
L'eternità selvaggia matura e succosa ci inonda.
I nostri alleati dall'altra parte del velo ci raggiungono a sciame.
Ci stiamo svegliando.
E come il cielo e la terra si incontrano, come il sogno e la veglia si mescolano, come il paradiso e gli inferi si intersecano, notiamo il fatto esilarante e scioccante che tocca a noi decidere tocca a noi decidere, a me e a te - come costruire un mondo nuovo di zecca.
Non in qualche lontano futuro o luogo distante, ma proprio qui ed ora.
Siamo sull'orlo di un precipizio, danziamo proprio sul bordo, e non possiamo permettere a questi folli che governano un mondo morente di portare avanti i loro sortilegi.
Dobbiamo insorgere e combattere la loro logica malata; sfidare, resistere e fermare la loro tragica magia; scatenare la nostra ira sacrosanta e fargliela sentire.
Ma aver la meglio sui morti viventi non è sufficiente. Protestare contro i mostri in doppiopetto non è sufficiente. Non possiamo permetterci di essere consumati dall'ira- non possiamo essere ossessionati e posseduti da lamenti. I nostri dolci corpi animali hanno bisogno di felicità turbolente. La nostra stupefacente immaginazione ha bisogno di nutrirsi con compiti che stimolino il nostro diletto.
Abbiamo bisogno di verità allo stato selvaggio, una bellezza insurrezionale che ecciti la nostra curiosità, una bontà oltraggiosa che ci porti a compiere atti eroici di appassionata compassione, un amore ingegnoso che ci trasformi senza tregua, una libertà astuta che non sia mai permanente ma da afferrare e reinventare ogni giorno, e di un giustizia-totalmente-seria-ma-sempre-ridente che progetti e sogni come diminuire la sofferenza e accrescere la gioia di ogni essere senziente.
Così sono radicalmente curiosa, compagni miei creatori; sul serio in delirio: visto che tocca a noi costruire un Mondo Nuovo di zecca, da dove cominciamo?
Quali verità allo stato selvaggio pensiamo di piantare al cuore della nostra creazione? Quali storie saranno i nostri pro-memoria? Quali domande ci alimenteranno?
Eccotene una: nel Mondo Nuovo saprai con tutto te stesso che la vita è pazzamente innamorata di te- la vita è selvaggiamente e innocentemente innamorata di te.
Nel Nuovo Mondo saprai al di là di ogni dubbio che migliaia di alleati nascosti stanno dandosi da fare per farti diventare quella bellissima curiosa creatura cui sei destinato per nascita.
Ma poi arriva la domanda fatale: l'amore con cui la vita eternamente ti inonda non è stato corrisposto al suo meglio, ma c'è ancora modo per mostrarsi più espansivi. Se la vita è selvaggiamente e innocentemente innamorata di te, sei pronto ad incominciare ad amare la vita così come essa ti ama?
Nel Mondo Nuovo, lo farai.
Nel Mondo Nuovo, rigetterai la paranoia con tutta l'intelligenza del tuo cuore. E abbraccerai la Pronoia, che è l'opposto della paranoia. Pronoia è il vago sospetto che tutto il mondo vivente sta cospirando per inondarti di felicità turbolente. Pronoia è la percezione emergente che la vita è una cospirazione per liberarti dall'ignoranza, e riempirti d'amore, e farti spirito risplendente.
Compagni miei creatori, voglio che sappiate che sono allergica ai dogmi. Non ho fiducia in alcuna idea che richieda fede assoluta. Ci sono molte poche cose di cui sono del tutto certa.
Ma sono assolutamente sicura che la Pronoia descrive il mondo così com'è. La Pronoia è più umida dell'acqua, più vera dei fatti, e più forte della morte. Odora del fumo di cedro nella pioggia primaverile, e se ora chiudi gli occhi, ne percepirai il tremulo scintillare nel tuo caldo corpo animale come un'aurora boreale.
La roba dolce che appaga le tue voglie non è chissà dove in qualche altro spazio e tempo. E' proprio qui ed ora.
La Terra è ricolma di paradiso.
* l'autrice è una pacifista uccisa dall'esercito israeliano
Quando gli stagisti fanno paura....(chissà poi perché). Riporto qui sotto una lettera. L'ho scritta con una amica durante il nostro stage in un giornale di centro-sinistra. E' una risposta al Cdr che ci ha cacciate via e alla Fnsi che ha ostacolato in ogni modo a livello nazionale i giovani che si affacciano alla professione giornalistica. Un sindacato, quindi, che tutela una casta, che predica meritocrazia e codice deontologico, ma accetta passivamente il sistema di clientele e raccomandazioni. E' facile prendersela con gli ultimi arrivati, piuttosto che riformulare le regole o sanzionare chi approfitta del lavoro gratuito degli stagisti.
Come ho detto a uno dei membri del Cdr (che ha affermato che "tra un anno io sarò precaria e quindi farò la guerra agli stagisti che mi ruberanno il lavoro") io spero solo, tra un anno come tra cento, di non fare parte di un sindacato che dice di tutelare i precari (e non lo fa) calpestando i diritti alla formazione dei giovani.
P.S. a questa mia risposta, lui ha affermato: "Ma in questa professione si è sempre tagliato le gambe agli altri". Bene. Resta però il fatto che questo meccanismo non è giusto perché è sempre stato così. Se questo è il livello di discussione che alcuni giornalisti possono garantirci, non mi meraviglia la facilità con cui il potere controlla il sistema di informazione del paese!
Se i giornali potessero raccontare questa storia...
La storia di noi due stagiste ostacolate in ogni modo dal Cdr e poi invitate ad andare via. Più volte (da ultimo, durante la riunione del 18 maggio), i membri del Cdr e altri redattori che si sentono inspiegabilmente minacciati da noi, ci hanno ripetuto “voi non potreste stare qui”. Un chiaro invito ad andarcene. Parole che certo non ci hanno fatto paura, semmai ci hanno fatto capire fino in fondo la situazione in cui si trova oggi questo mestiere.
Siamo convinte che tutti gli stagisti, a maggior ragione quelli che sono anche giornalisti praticanti, hanno diritto a una formazione. Avevamo scelto questo quotidiano perché pensavamo che qui ci fossero giornalisti capaci che potevano insegnarci tanto. Invece, ci siamo sentite ripetere più volte, anche con poca sensibilità, che eravamo “illegali” e che minacciavamo “i diritti degli altri giornalisti”.
Noi non ci siamo mai “illuse”, come qualcuno ci ha contestato, perché conosciamo la situazione economica della testata. Ci aspettavamo che qui i nostri diritti – come quello a ricevere una formazione – sarebbero stati rispettati.
Il Cdr ha rivendicato più volte la correttezza della sua posizione, facendosi forte di avere la legge dalla propria parte. E' vero. Come è vero che tra il rispetto e la trasgressione di una legge ci sono il buon senso, l'umanità e anche un'idea politica, come bene dimostrò il fondatore di questo giornale.
Alcune persone hanno preso fermamente posizione a nostro favore durante la riunione. Altri, tra cui due capo-servizio, i ragazzi dell'on line, il direttore e il co-direttore ci hanno dimostrato la loro solidarietà e hanno fatto il possibile per farci lavorare. Li ringraziamo. E ringraziamo anche la segretaria che si è assunta tutta la responsabilità di questa vicenda.
Andiamo dove è possibile lavorare e imparare. I membri del Cdr penseranno che questa sia una vittoria. In realtà per loro è una sconfitta: perché solo così si chiama la situazione dei giornalisti che si rifiutano di formare chi si affaccia alla professione. Solo con la formazione, vogliamo ricordare a queste persone, si garantisce davvero l'autonomia dei giornalisti e la libertà di stampa.
Questo giornale non potrà mai raccontare questa storia. Una storia che starebbe così bene accanto a quelle dei giovani che se ne vanno all'estero e di tutte le persone colpite in qualche modo dalla crisi.
Sul sito dell'Anpi di Arcevia sono riportate tutte le fasi e le date della lotta partigiana. Ma oggi, 3 maggio, e soprattutto domani, 4 maggio, sono giorni importanti per tutti noi: arceviesi, marchigiani e italiani. Per raccontare e capire cosa accadde, facciamo brevemente un passo indietro e torniamo all'8 settembre 1943.
Con la firma dell'armistizio e la fuga dei vertici politici dello stato italiano, salgono ad Arcevia antifascisti noti e meno noti, giovani e non, che vogliono combattere. Nascono le prime formazioni partigiane, nella maggior parte dei casi guidate da antifascisti e perseguitati politici dell'anconetano. A questi gruppi si uniscono anche degli slavi che, scappati dal campo di concetramento di Arezzo, stanno marciando verso Ancona per imbarcarsi e tornare a casa. Il loro percorso, però, si ferma sugli appennini dove viene detto loro che imbarcarsi ad Ancona è impossibile e pericoloso vista la forte presenza fascista. Così, restano sull'appennino marchigiano e combattono con i partigiani locali per la Liberazione di un paese non loro.
Il 20 gennaio 1944 il comando Monte Sant'Angelo fa il primo attacco ad una caserma fascista, vicina ad Arcevia, per recuperare armi. Da quel giorno le azioni si fanno più frequenti fino ad aprile. Con due azioni ravvicinate e di successo, il 17 e il 27 aprile 1944, il gruppo libera tutta l'area comunale di Arcevia. E, liberate, le persone possono tornare a festeggiare il 1 Maggio.
Il successo dei partigiani allarmò i repubblichini e i tedeschi che prepararono un rastrellamento dalle proporzioni spaventose. Il gruppo aveva previsto la reazione nazista e decise di dividersi in sotto-nuclei per mettersi al salvo in zone diverse e lontane da Arcevia. Solo un gruppo rimase sul Mnte Sant'Angelo, insieme ai prigionieri.
La notte tra il 3 e il 4 maggio, 2.000 soldati salirono ad Arcevia e arrivarono fino al Monte Sant’Angelo dove, nella casa della famiglia Mazzarini, stavano passando la notte i partigiani rimasti insieme ai prigionieri fascisti. La rappresaglia nazifascista non risparmiò nessuno, neanche la piccola Palmina che aveva 6 anni. Poi, proseguirono alla ricerca degli altri partigiani, sparpagliati verso l’Appennino. Furono giustiziati, evirati, torturati. Sono passati 66 anni, ma questo è un giorno triste per ognuno di noi. In queste stesse ore del 4 maggio 1944, i cittadini di Arcevia erano stati radunati tutti in piazza, senza possibilità di tornare a casa o andare via. Perché la punizione, la paura e la rappresaglia dovevano colpire tutti. Dalla piazza, le persone sentivano i colpi dei fucili, le esplosioni delle bombe a mano e vedevano le camionette salire verso le montagne alla ricerca di altra carne da macellare.
Chi nega il valore della Resistenza, nega tutto questo. Sputa sulle vittime. Io ricordo. Ho il privilegio e il dovere di ricordare. E l’obbligo di contrastare chiunque osi dire oggi che i partigiani siano da mettere sullo stesso piano dei repubblichini di Salò. Non fu così e non sarà mai così. Goliarda Sapienza ha scritto che “I morti hanno torto se non c’è qualcuno che li difenda”. Abbiamo tutti il dovere, in questo momento storico, di difendere senza reticenze coloro che morirono nel giusto, coloro che combatterono nel giusto, coloro che innocenti furono ammazzati dalla parte sbagliata.
Siamo alla vigilia del 25 Aprile, una delle date che questo blog vuole ricordare anche con il suo nome. Le commemorazioni sono spesso solo retorica. Si celebra il sacrificio di tanti giovani che hanno combattuto e poi, nella realtà politica di tutti i giorni, ci si dimentica di quel sangue e di quello che ha prodotto.
Il caso di Senigallia è esemplare. Bandiere italiane, parole tronfie e dolore per le vittime della Seconda Guerra Mondiale. Onore ai partigiani e agli Alleati che hanno combattuto per la libertà di una terra che non era la loro. Poi, passeggi sul lungomare, e vedi che dove fino a un anno fa c'era un campo di concentramento provinciale, usato sotto la Rsi per radunare anche gli ultimi ebrei rimasti, ora c'è una spianata. L'amminsitrazione della città, quella stessa amministrazione del Pd che si dice antifascista, antirazzista, per la Costituzione....e chi più ne ha più ne metta, ha demolito quella struttura per farci realizzare alberghi, residence, bar. Per ricordare quel posto ci sarà una bella targa!
Questo non è solo revisionismo. Questo è cancellazione, demolizione. E non solo della storia che è arrivata anche dentro questa città. Ma delle vittime che, ora, muoiono una seconda e terza volta. La seconda morte è appunto la distruzione del luogo in cui sono state detenute per fare spazio a chi andrà a farsi le vacanze, dedicando loro un pensiero, al massimo di cinque secondi, quanto basterà per la lettura della targa. La terza morte è il punto d'origine di tutto questo. Il fatto che sia il centro-sinistra della città a operare in modo simile, i figli di quelli che quella storia l'hanno subita, vissuta e combattuta in un certo modo, da una certa parte, ci fa ben capire quanto quel dolore e quella lotta non gli appartengano più.
Ora c'è il caso di Salerno. Dove il presidente della provincia getta fango sulla Resistenza. E pensare che Napoli si liberò da sola, grazie ai partigiani, prima dell'arrivo degli alleati. Come fecero tante altre città italiane. Insomma, questo 25 aprile dobbiamo tenercelo stretto. E' la celebrazione della Liberazione (e non della Libertà come disse Berlusconi l'anno scorso a Onna). E la Liberazione è avvenuta su più piani. Ce ne fu uno fatto di fucili e morti. Ma ce ne fu anche un altro. Fatto di discussioni, strategie di lotta condivise, di condivisione con le persone anti-fasciste da sempre che non potevano prendere la via dei monti, ma volevano dare un contributo. Una lotta dove anche le donne hanno trovato spazio e dato un contributo fondamentale. Spesso caricandosi di rischi maggiori rispetto agli uomini, perché erano più esposte con la loro opera di "staffette".
Dalla Resistenza è nata la nostra Repubblica. E la tutela di questo principio, e della Costituzione che da questo valore discende, è la Resistenza cui oggi siamo chiamati. La Resistenza intesa non solo come atto di lotta e liberazione, ma come momento democratico in cui il popolo non attende "i liberatori" ma prende parte, si autodetermina e combatte. Alleati o no, Americani (o meglio, statunitensi) o no.
Firmiamo l'appello di Emergency (cliccate sul logo qui a fianco per farlo).
L'invasione delle corsie di un ospedale è una dimostrazione di forza bruta e barbarie. Dimostra sia quanto l'Afghanistan oggi sia distante da un progetto democratico e pacifico, sia il fallimento dell'operazione militare degli Usa e dei loro alleati (se mai avessimo bisogno di prove per capire che le guerre falliscono sempre).
In questo contesto, il lavoro dei medici dell'organizzazione di Gino Strada è fondamentale non solo per salvare le vittime della guerra, ma anche per lanciare un messaggio diverso alle persone: quello dell'inviolabilità dei diritti di tutti e del valore della vita umana.
Quello che è successo alla struttura di Emergency, mi ricorda quanto accadde alla scuola Diaz nei giorni di Genova. Si fabbricarono prove false e si annientarono quelle vere (computer, macchine fotografiche e telecamere vennero sequestrate o distrutte). Si massacrarono le persone. Perché il sistema ha bisogno di radere al suolo chiunque sia diverso e chiunque sia testimone della verità. Per questo, stiamo con Emergency e con tutti quelli che subiscono le "notti cilene".
Riporto alcuni stralci del confronto che si è tenuto martedì sera al Teatro del Portone tra i 5 candidati under 30 delle 5 coalizioni che si presentano alle comunali di Senigallia.
Come vedrete ci sono anche io, a dare il mio piccolo contributo alla discussione. Mi presento alle elezioni amministrative senigalliesi a sostegno di Roberto Mancini. Lo faccio perché credo nell'intelligenza politica e nel desiderio di cambiamento che Roberto e gli altri candidati delle liste che lo appoggiano rappresentano.
La parola d'ordine che abbiamo scelto per definirci è PARTECIPAZIONE, di gaberiana memoria. Una parola che per noi è un concetto e un paradigma da seguire. Senza se e senza ma. Solo tornando a parlare, discutere e anche litigare, con i cittadini potremo dire davvero di conoscerli e rappresentarli. Soprattutto in un momento come questo, dove i partiti sembrano sempre più distanti dalla popolazione e i suoi problemi, tornare a loro significa affrontare la realtà e dare nuova linfa a una politica istituzionale sempre più assonnata e stantia.
Molti sono i problemi: dall'edilizia e le case per chi non ha possibilità di accedervi a causa dei prezzi proibitivi del mercato immobiliare, al lavoro; dalle politiche di assistenza e servizio sociale all'ambiente e i sistemi di trasporto. Questi sono solo alcuni. Noi non promettiamo di avere la bacchetta magica. Solo una cosa possiamo garantirla: una democrazia partecipata. Grazie alla quale saremo vicini a tutte le persone della città, chi ci voterà e chi non lo farà, chi ha i documenti e chi non li ha, chi ha conti in banca e chi dalle banche è strozzato. Tutti verranno ascoltati e presi in considerazione, perché ragioniamo in termini di collettività e comunità. E non in termini di potere. E questo significa rivoluzionare l'esistente. Noi ci crediamo davvero!
La Senigallia del futuro ha bisogno di regole e percorsi che favoriscano effettive e trasparenti pratiche di democrazia partecipata, per individuare i problemi e trovare le soluzioni condivise. Trasparenza e partecipazione sono i principi guida su cui, secondo noi, un'amministrazione deve fondare il governo della città.
Per questo, attueremo percorsi partecipativi basati su una corretta e piena informazione in merito alle scelte da adottare, in modo tale che, dopo essere state giustamente vagliate dai cittadini, vengano concretizzate dall’Amministrazione.
Il principio ispiratore di una buona amministrazione consiste nel privilegiare l'interesse pubblico e non quello privato: la città non è di proprietà di chi la governa, quindi deve essere amministrata attraverso una gestione trasparente e democratica.
E non ci stiamo inventando nulla. Un esempio pratico è la legge regionale toscana, che prevede che, quando un ente o un soggetto privato vogliano realizzare un’opera, si apra un confronto con i cittadini (con un dibattito pubblico) per mettere in discussione la stessa possibilità di realizzarla oppure che sia possibile cambiarla e farla così scorrere più tranquillamente, perché conosciuta e condivisa, nelle varie tappe dell’iter che dovrà seguire. E non è certo questa pratica ad allungare i tempi, non sono certo sei mesi di discussione (tanti ne prevede al massimo la legge toscana) a provocare un dannoso rallentamento. Si potrebbe tranquillamente fare anche qui da noi (immaginiamo se l’Amministrazione avesse coinvolto la cittadinanza nella gestione dell’affair Complanare…ci saremmo risparmiati lacerazioni che stanno diventando devastanti).
Per quanto riguarda le decisioni da prendere, le Pubbliche amministrazioni locali e regionali impiegano anni per deliberare su alcune opere complesse e quando si arriva alla fase finale si pretende che i cittadini (fino a quel momento quasi all’oscuro o sommariamente informati dei fatti) accettino le decisioni senza colpo ferire. E’ proprio in quel momento invece che si crea il cosiddetto “fronte del no”, con le sue motivazioni, rispettabili come quelle dell’Amministrazione e a volte anche più giuste e sensate.
La partecipazione è anche uno strumento di controllo sociale sull’operato della Pubblica Amministrazione. Se un progetto viene messo sotto osservazione da parte di qualche centinaia o migliaia di cittadini, sarà difficile che prenda strade diverse. Noi ci impegniamo, quando governeremo, a spiegare in maniera dettagliata il perché di certe scelte, garantendo gli strumenti affinché tale partecipazione non si risolva solo nel diritto/dovere civico di eleggere i propri rappresentanti in Consiglio, ma continui anche dopo.
Per fare ciò possono essere usati vari strumenti:
1) la pubblicazione degli atti amministrativi attraverso tutte le forme possibili (sito internet costantemente aggiornato) che permetta una costante comunicazione tra il “palazzo” ed i cittadini; 2) la promozione di gruppi di lavoro, consulte, comitati, intesi come momento di rappresentanza sociale e di rapporto con le varie realtà locali; 3) la programmazione di incontri con la popolazione e di assemblee pubbliche (almeno due all’anno) su argomenti di particolare importanza nei quartieri e nelle frazioni. Un giro di incontri verrà svolto preliminarmente alla stesura del Bilancio Preventivo del Comune (Bilancio partecipato); 4) la riorganizzazione dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico che sarà un vero e proprio front office a disposizione dei cittadini per fornire informazioni sui servizi comunali, consulenza sulle pratiche amministrative in modo da orientare con efficienza gli utenti senza inutili odissee tra gli uffici, informazioni turistiche; 5) l’istallazione su tutto il territorio comunale di bacheche informative dignitose, curando il loro aggiornamento; 6) la semplificazione di tutte le pratiche amministrative e la piena valorizzazione e riqualificazione delle professionalità e potenzialità esistenti all’interno dell’organizzazione amministrativa, perché siano messe nella condizione di rapportarsi al meglio con le esigenze della cittadinanza.
Riporto l'intera intervista che ho fatto, giovedì 4 marzo, a Massimo Rossi, candidato alla presidenza della regione Marche e sostenuto da Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Sinistra ecologia e libertà.Unico caso, nel panorama di queste elezioni regionali, in cui le sinistre sono unite.
Rossi incarna un'idea precisa di politica: quella della pratica democratica, dove la partecipazione e li rispetto dei diritti di tutte le persone sono fondamento e fine del ruolo di governo. Questa pratica politica, ancorata a valori democratici come il dialogo e l'ascolto, poco ha a che fare con le logiche di potere a cui governi, di vario tipo e di vari gradi, ci hanno abituati. Rossi ci dà una speranza che dobbiamo cogliere. Dobbiamo tutti tornare a capire che cosa è la democrazia; disabituarci a ritenere che contribuire alla lotta di pochi per il potere sia il male minore e pensare che è possibile attuare un'altra politica.
Le Marche sono l’unico caso in Italia in cui Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Sinistra Ecologia e Libertà sono uniti e insieme sostengono lo stesso candidato: lei. Come la sta vivendo?
La vivo molto bene perché fa parte della mia idea di politica. Quella, cioè, di trovare delle convergenze ampie sui progetti da realizzare, sulle modalità della politica e di governo. Quindi l’idea di una politica partecipata, di una visione del futuro che pone al centro i diritti e il concetto del limite. Perciò, un’idea di futuro che sia rispettoso di tutti, della giustizia e della solidarietà. Ecco su questi concetti si possono costruire delle grandi convergenze che, dico di più, vanno molto aldilà delle forze politiche che ora mi sostengono.
La mia storia personale è proprio caratterizzata da una convergenza forte tra tanti soggetti che, spesso, non avevano mai militato nei partiti e non si consideravano neanche di sinistra. Questo perché nella loro visione sinistra e destra erano riconducibili a determinati leader che non sempre danno la migliore prova di sé e né danno un’idea di coerenza. Questi soggetti magari non si dichiarano di sinistra, ma poi aderiscono alle nostre proposte. Quindi, questa unità la vivo bene e penso che sia una grande opportunità per sperimentare un pratica diversa del fare politica.
Spacca ha detto che dopo le elezioni vorrà tenere aperto un dialogo con Sel.
È sgradevole tutto questo perché dimostra un approccio. Cioè la politica viene vista come un contenitore di simboli, di sigle che poi devono attrarre il consenso dei cittadini sulla base di immagini, slogan, posizionamenti di carattere rappresentativo. E non si vede, invece, la politica come confronto e sintesi progettuale sulla base di quelle che sono le visioni del mondo. Quindi che dire? “Noi vogliamo confrontarci con questo o quell’altro, magari offrendo a questo o quest’altro posizioni, ruoli, incarichi….” È davvero spregevole.
Sicuramente, se sarò eletto, io cercherò tutte le convergenze possibili per raggiungere gli scopi e gli obiettivi di cui mi faccio portatore. Per esempio per far sì che la gestione dell’acqua non sia privatizzata. Per far sì venga approvata una legge che blocchi il consumo di territorio. Affinché venga valorizzato il piano energetico nazionale e non venga snaturalizzato dalla realizzazione di grandi impianti. Perché si vada a verso l’introduzione del reddito sociale. Su questo Spacca avrà quante convergenze vuole. Ma per quanto mi riguarda non sono interessato a un ruolo di governo. Io sono interessato a che le mie proposte da amministratore eletto siano tenute in considerazione e rispettate, e a che sia dato spazio a chi mi ha eletto. Così che le persone possano partecipare in maniera strutturata alle decisioni da prendere.
Io prefiguro invece, a differenza di Spacca, una modalità di rapportarmi a coloro che mi eleggeranno, e non solo, che veda un coordinamento permanente delle associazioni e dei movimenti e un confronto costante. Così da arrivare al punto di cedere sovranità a queste realtà, proprio per consentire alla politica di ripensarsi e ai partiti, che non godono di grande considerazione, di rinnovarsi, ripensarsi e aprirsi. In modo da avere un rapporto fecondo con la società e tornare a crescere, sia nel loro ruolo sia nelle dimensioni. Tornare a essere il luogo della democrazia.
Qual è la più grande differenza di programma tra lei e Spacca?
Molte cose ci differenziano. Potrei parlare, per esempio, della gestione dell’acqua, del consumo di territorio, della giustizia sociale e quindi del reddito sociale, e di molte altre cose. Ma quello che più di ogni altra cosa ci caratterizza è l’idea della politica e di democrazia.
Non è possibile fare piovere dall’alto delle decisioni anche le più giuste. Perché se i cittadini subiscono una legge, non la capiscono. Non si predispongono a rispettarla e attuarla, perché non ne capiscono le ragioni.
La democrazia invece è un momento di crescita per tutti. Tanto più in un momento in cui dobbiamo cambiare i nostri stili di vita e la nostra economia, che solo chi è ignorante non capisce. Basta leggere i dati che la comunità scientifica ci dà ogni giorno. E allora, se c’è bisogno di un cambiamento vero, e non di un compromesso costante tra i poteri forti (come Spacca e Marinelli sono abituati a fare), un cambiamento che consenta alle imprese di avere un loro spazio, ma dentro un quadro che vede come prioritario l’interesse pubblico, questo cambiamento può essere attuato non solo con abili e bravi amministratori, ma con i cittadini. Perché i cittadini dovranno avere la possibilità di decidere determinati no (la gran parte dei quali sono più che giusti: no a centrali che non hanno senso perché fanno arricchire chi le costruisce, ma non si cambia il prezzo dell’energia; no a strutture che uccidono la bellezza del territorio e tutto il resto) e assumersi la responsabilità e la bellezza di questo impegno a cambiare le loro abitudini e l’economia. E questo è possibile solo con la partecipazione delle imprese, dei cittadini che decidono i riutilizzare i rifiuti e di non produrne, che decidono di andare con i mezzi pubblici piuttosto che con l’auto privata. Insomma, c’è bisogno di scelte da fare a livello di governo e scelte che devono fare tutti. Cioè, scelte condivise e praticate da tutti. Ecco, quello che più ci caratterizza è la volontà di consentire ai cittadini di partecipare alle decisioni che li riguardano e di responsabilizzarsi per attuare quei cambiamenti dei loro stili di vita e l’economia.
Dico questo senza paura di sembrare teorico. Nella mia storia personale, infatti, ho avuto la possibilità di applicare questi modelli di condivisione e di democrazia partecipata. E devo dire che hanno dato grandi risultati in termini di sviluppo, di qualità, di prosperità dell’economia e di efficienza nei progetti decisionali. Un piano regolatore fatto con i cittadini, come nel mio caso, si realizza in 2 anni, perché nei comitati di quartiere non si tira la giacca al sindaco, ma si espongono i problemi reali di viabilità.
E su scala regionale è applicabile?
Questa pratica politica si può praticare anche sul piano regionale. Una legge sulla gestione della costa o sulle attività sportive, per esempio, è una palestra di democrazia. Perché si mettono insieme tutti i soggetti, si raccolgono le esigenze con modalità che vedono coinvolti i Comuni e le Province, con processi di condivisione con tempi definiti. Poi si fa la sintesi e si arriva a una pianificazione o a una programmazione normativa che è quella che concilia gli interessi del territorio e della comunità e vede tutti impegnati a attuare quelle scelte. Ci sono sperimentazioni interessanti in Puglia ed è dimostrato che si raggiungono più velocemente anche i risultati.
Su scala regionale questa pratica si può seguire e questo è uno dei punti deboli dell’amministrazione precedente: non ha ascoltato i territori, ha agito dall’alto e non sempre in modo trasparente. Non faccio questa critica ora, perché siamo in campagna elettorale. L’ho sempre rappresentata anche quando ero Presidente della provincia. Allora, ascoltavo gli attori del territorio e cercavo uno sbocco per quelle istanze a livello regionale: uno sbocco che non ho mai avuto perché si è preferito ascoltare i poteri forti.
Secondo Spacca, la regione Marche soffre di una carenza infrastrutturale che il progetto Quadrilatero tenderebbe a colmare. Contro quel progetto e quella società, così come in molti altri casi, sono nate le proteste di cittadini che denunciano il consumo di suolo e l'inutilità di queste grandi opere. Come conciliare, però, lo sviluppo di infrastrutture con la tutela dell’ambiente?
Innanzitutto bisogna sfatare il fatto che le Marche hanno carenza infrastrutturale in termini generici. Il reticolo viario delle Marche è uno dei più fitti a livello nazionale, se mettiamo insieme autostrada, rete regionale, provinciale, statale e comunale. Bisogna migliorare questa viabilità. A volte le infrastrutture che si realizzano sono di beneficio, ma, se le mettiamo in relazione al loro costo, ci fanno pensare che era meglio orientarsi in altro modo.
Quello che è carente è il trasporto ferroviario. L’ultimo scalo merci, nella nostra regione, verrà chiuso nel mese di marzo. Da quel momento non ci saranno scali merci che consentano al nostro sistema produttivo di trasportare le merci attraverso la ferrovia. Uno scalo merci permette di immettere più vagoni in un convoglio. Se non c’è uno scalo merci o tu azienda riesci a mettere su un treno o non puoi avvalerti di questo sistema. E quindi c’è un deterioramento di quello che è il sistema di trasporto delle merci. Non sono stati attuati gli interventi di miglioramento e, quindi, c’è una carenza delle infrastrutture, ma soprattutto dei servizi ferroviari.
Io penso che in tempo di crisi, in cui, piaccia o no, l’economia si va smaterializzando, in cui quindi i nostri prodotti dovranno essere sempre di più qualità e meno quantità, a maggior ragione le risorse, che spesso vengono sprecate in infrastrutture costosissime, devono essere incanalate nei saperi, nella ricerca e nelle infrastrutture immateriali come la rete informatica. E, per quanto riguarda quelle materiali, nel trasporto su rotaia. È un problema di risorse, ma anche di potere contrattuale. In Abruzzo, per esempio, la regione ha messo in campo delle risorse integrative per fare rimanere gli scali merci di cui parlavo prima.
Spesso si fanno esibizioni di forza per realizzare grandi infrastrutture, ma non per altri versanti, come quello ferroviario. Anche perché per il trasporto viario ci sono spesso spinte da settori privati che hanno interesse a assumere appalti per poi magari sub-appaltarli.
Dopo la legge regionale dell’anno scorso contro la delocalizzazione, proposta da Rifondazione comunista, cos’altro si può fare per garantire il lavoro nella nostra regione?
Ho presentato una proposta che va sviluppata. È quella di far sì che la regione Marche, attraverso una sua agenzia, magari riconvertendo società già esistenti come la Svim (Sviluppo Marche) che oggi ha un ruolo poco definito ed efficace sui problemi di crisi, intervenga nelle specifiche crisi, analizzandone i fattori interni e oggettivi. Deve valutare, cioè, se ci sono ragioni speculative alla base di quelle crisi, o se invece ci sono fattori oggettivi. Nel caso, e spesso oggi avviene, queste aziende possano essere salvate, perché sono in grado di produrre ricchezza e occupazione, il pubblico deve entrare con proprie risorse e competenze manageriali. Quindi assumendo un ruolo di partecipazione. Non è una parola eretica o scandalosa. Qualche mese fa poteva apparire così, ma di fronte al fatto che lo Stato è entrato per salvare le banche non vedo perché non debba intervenire per salvare delle imprese.
Ma non salvarle come è stato fatto in questi anni passati, con risorse a fondo perduto o ecoincentivi per poi lasciarle operare, magari delocalizzando, ma intervenendo sui precisi piani industriali con risorse, partecipazione azionaria e poi, dopo qualche anno, cessione di queste quote ai privati stessi, soci con diritto di prelazione o altri soggetti in grado di prelevare quelle quote. Quindi un cessione che avvenga una volta che questo processo di rilancio e di rafforzamento si sia avviato.
Questa azione è importante, altrimenti ci si limita a guardare questa tenzone tra le forze economiche prevalenti e, in una sproporzione abissale, i lavoratori. Certo, i soggetti che il pubblico deve mettere in campo in queste società devono avere grandi competenze manageriali e scientifiche. Devono essere in grado di esaminare i fattori industriali e formulare piani industriali. Non devono certo rispondere a logiche di appartenenza partitica.
Quanto si può dire che questa crisi non sia determinata, in parte minore o maggiore, da inadeguatezza della direzione delle stesse imprese? Quindi, immettere nuove competenze manageriali, svincolate da fattori di carattere speculativo, secondo me può essere l’immissione di qualità e di etica nel sistema industriale. In Friuli si è fatto. Una società pubblica, la Friulia, è entrata nel salvataggio e nel potenziamento di alcune aziende. Il Piemonte, con la sua finanziaria, è entrato nella crisi della Pininfarina. Facendo un accordo con il gruppo Bertone, la Regione ha acquistato lo stabilimento. Mentre il gruppo Bertone ha acquistato le attrezzature e ha preso in affitto lo stabilimento. Quindi la Regione recupera attraverso la locazione e si assume una quota di rischio nel piano industriale esaminato nella sua stessa finanziaria che prevede il rilancio di questo sistema dell’impresa in questione.
Scuola. Sanità e Risorse pubbliche. Tutti campi in cui sta entrando il privato…
Restiamo sul generale. Il sistema pubblico deve assicurare i servizi fondamentali per le persone. Parlo dei servizi che riguardano i diritti: quindi il servizio idrico, dei rifiuti, della fornitura energetica, dei trasporti. Noi siamo profondamente contrari a una gestione di questi servizi in un’ottica di mercato e di profitto. Non ci sono benefici laddove sono state fatte queste esperienze, perché molto spesso parliamo di monopoli naturali che non possono vedere la concorrenza per mercato, pensiamo al servizio idrico. Quindi, pensiamo che questo sia fondamentale perché la coesione è garantita da un sistema che offre a tutti queste opportunità. Le risorse pubbliche, perciò, devono essere orientate per questi servizi.
Il privato può operare, ma nel quadro di una limitazione e di un forte controllo della qualità degli standard. A maggior ragione in un momento di difficoltà di risorse, dobbiamo essere concentrati ad assicurare un sistema di servizi per tutti i cittadini. Non ci sono spazi per offrire opportunità di altra natura a soggetti che vogliono spostare il loro business, perché poi di questo si tratta.
Come commenta il no ai rigassificatori di Spacca?
Tardivo. Io ho letto il libro che Spacca ha scritto e dato ai dipendenti della regione. In questo libro, Spacca vanta di avere istruito due rigassificatori. Quindi, il suo No è tardivo e legato alla congiuntura elettorale. Ne prendo atto. Ma ritengo che la coalizione che ha messo in piedi e le forze economiche che gli sono vicine, è noto che Spacca sia vicino alla famiglia Merloni, possono indurre poi il governatore e la sua coalizione a mediare su questo terreno.
Secondo me ci sono terreni su cui si può mediare. Altri, come quelli che implicano l’uso di territorio o le trasformazioni impattanti per la vita dei cittadini, su cui non può esserci mediazione.
Noi abbiamo non solo la necessità, ma l’urgenza di cambiare. Prendo atto degli impegni di Spacca, ma credo che i cittadini dovranno continuare a tenere in piedi i loro comitati per vigilare molto molto attentamente. Questo in ogni caso: anche se fossi io il governatore.
Con l'arrivo del mese di marzo, è iniziato il conto alla rovescia alle competizioni elettorali.
Per prepararsi al meglio, il Pd ha fatto di tutto per dimostrare la sua allergia a chi si dichiari di sinistra. Inoltre, è riuscito abbastanza bene a farci capire che non solo non ha un'idea di sinistra, ma che non ha più neanche un'idea sua. E dove ha potuto, si è svenduto senza rimorsi a un partito come l'Udc. Basti pensare al suo comportamento in Puglia dove, per accontentare il partito di Casini, sembrava considerare l'appoggio a Nichi Vendola pari alla firma di un piano quinquennale sovietico.
I partiti di sinistra, invece, hanno comportamenti altalentanti. Da un lato c'è il progetto di unirsi per continuare a dare un contributo alla democrazia e offrire una politica diversa, appunto di sinistra. E' il caso delle Marche, dove la Federazione della sinistra, insieme a Sinistra ecologia e libertà (unico caso in Italia), propone Massimo Rossi, in contrapposizione a Spacca. Dall'altro, si è pronti a cedere a un'unione con le forze centriste. Basti pensare al fatto che Sel si è alleata al Pd in tutta Italia. In alcune di queste regioni significa stare anche con l'Udc. Eccetto che nelle Marche e in Puglia. In molti casi, anche la Federazione della Sinistra appoggia il Pd ed entra nell'alleanza con l'Udc (come in Piemonte, con un accordo tecnico, e in Basilicata).
Mi interessa cosa succede a sinistra e vorrei parlarne partendo dalla mia città, Senigallia. Ieri è stata presentata la coalizione che appoggia Roberto Mancini. Le liste sono tre: Rifondazione Comunista, il Comitato promotore e la lista che raccoglie Alleanza per l'Italia e il Partito Socialista. Il Pd ha un suo candidato: Maurizio Mangialardi, delfino del sindaco uscente, Luana Angeloni, che ha governato la città per 10 anni. E' sostenuto dall'Italia dei valori, dai Repubblicani, da una lista civica (Vivi Senigallia) e da La città futura, una lista che raccoglie Comunisti Italiani, Verdi e Sel.
A Senigallia, dunque, c'è una sinistra spaccata. Forse perché non è stata condivisa la voglia di fare una politica diversa, slegata dal Pd. Perché Pdci e Sel non hanno seguito la strada che hanno preso per le regionali: quella di uscire dalla coalizione con il partito di Bersani e appoggiare un candidato diverso. Perché, forse, qualcuno pensa ancora che si possa influenzare il Pd standoci insieme. E declina la responsabilità di opporgli una politica diversa, altra.
Al di là di questo, bisogna prendere atto del fatto che una parte della sinistra senigalliese ha scelto quella politica. Tra le cui ultime perle si può ricordare:
la distruzione di un ex campo di concentramento (le ex colonie Enel) e della fabbrica Sacelit-Italcementi per fare costruire albreghi, residence e appartamenti il cui prezzo al metro quadro sarà di qualche migliaio di euro, di contro all'abbandono dell'edilizia pubblica;
la realizzazione di una strada (la complanare) a spese dei cittadini che si stanno vedendo espropriare case e terreni, dell'ambiente e della qualità dell'aria che si respirerà.
Le persone e i cittadini che sostengono Roberto Mancini hanno capito che questa politica non può portare a niente di positivo e credono ancora che le parole abbiano un significato che non può essere travisato o raggirato. Per esempio, pensano che la tutela del territorio non possa essere svenduta alle grandi opere di stile berlusconiano; che l'edilizia da realizzare sia quella pubblica; che Politica significhi partecipazione degli abitanti e non potere di pochi.