lunedì 8 febbraio 2010

Ancona: Lampedusa adriatica


L'hanno chiamata la Lampedusa silente. E' Ancona, la Lampedusa delle Marche, capoluogo di una delle regioni più sconosciute in Italia, una di quelle terre da cui raramente arrivano notizie di importanza nazionale. Questa volta, però, la notizia merita spazio e discussioni.

Il numero del Venerdì di Repubblica di venerdì scorso (5 febbraio 2010) dedica la copertina al tema del razzismo visto dai bambini figli di migranti che vivono nel nostro paese. Andando avanti, a pagina 20 si scopre il reportage di Paolo Casicci inviato ad Ancona, nello specifico al porto della città dorica.

Gli antichi greci diedero alla città questo nome, che significa gomito, per la posizione in cui si trova: sulla punta di un largo golfo. E negli ultimi anni il gomito è l'unica parte del corpo che Ancona che sembra mostrare ai migranti che arrivano al porto.

Le ricerche di Casicci descrivono il percorso degli immigrati, spesso minori, che arrivano ad Ancona. Prima di Casicci, però, gruppi di avvocati e volontari dell'Ambasciata dei diritti avevano già scoperto quello che succedeva al porto di Ancona.
Il viaggio iniziava/inizia da paesi come come Afghanistan, Pakistan, Iraq e Iran. Migliaia di persone si sono messe in moto negli anni, lasciando le loro terre, per approdare in Grecia, a Patrasso. All'inizio, secondo alcuni volontari dell'Ambasciata, i migranti partivano per cercare fortuna in Grecia. Poi, hanno iniziato a cercare di attraversare l'Adriatico e approdare in Italia.
A Patrasso, però, la corsa si fermava e i migranti si sono via via radunati sulla costa, in un'area in cui vivere non costava troppo. E' così che è nato il campo profughi di Patrasso, che ha avuto 10 anni di vita fino a luglio scorso, quando le autorità greche lo hanno smantellato usando anche il fuoco.

In questi anni, comunque, i profughi hanno tentato la traversata. Al porto di Patrasso erano numerosi i controlli della polizia. Ecco perché chi ce l'ha fatta sostiene di avere pagato la polizia greca affinché chiudesse gli occhi.

Polizia corrotta che non vedeva le persone che partivano alla volta del bel paese, stipate nei tir imbarcati sulle navi turistiche o di trasporto merci. Polizia corrotta che subito dopo la partenza delle navi, telefonava ai colleghi italiani per informarli delle imbarcazioni sulle quali avrebbero trovato i clandestini. E in Italia, quindi, la corsa dei migranti terminava. Anzi, si riavvolgeva perché queste persone venivano respinte.

Sì, perché come denuncia anche Casicci, la polizia di frontiera che lavora al porto di Ancona agisce molto spesso per conto suo e rimanda indietro i migranti senza contattare prima il Cir (Consiglio italiano del rifugiato): il Consiglio istituito dal ministero dell'Interno che valuta se tra i migranti possano esserci persone in diritto di richiedere lo status di rifugiato o l'asilo politico.

Alcuni migranti, per fortuna, ce l'hanno fatta. Sono partiti da terre lontane e in guerra e spesso hanno attraversato anche pezzi di mare: il mare Egeo, salpando dalle coste turche e approdando a quelle greche. Secondo alcuni dei loro racconti, in questo tratto di mare si avvicinano ai barconi due navi militari. Una con una bandiera greca, l'altra non senza simboli di riconoscimento. Proprio questa si avvicina alle carrette. Qualcuno dell'equipaggio mette fuori uso i motori delle imbarcazioni di fortuna su cui viaggiano i migranti e le lasciano andare in balia delle onde. Secondo alcuni ragazzi arrivati in Italia, molti loro compagni sono morti in mare.
Molti dei ragazzi arrivati in Italia non hanno smesso di partire: spesso prendono un treno per il nord-Europa.