venerdì 29 gennaio 2010

Eroi della classe operaia

Lavoratori che perdono il posto ogni giorno. Aziende che chiudono. Spesso non a causa della crisi, ma approfittandone. Agile-Eutelia, Alcoa, Omsa, e poi Fiat, Manuli, Merloni, Rockwool e tante altre. Gli operai protestano, salgono sui tetti o invadono le piste di atterraggio degli aeroporti. E ci sono sempre più disoccupati.

Le lotte che nascono dalla disperazione per la perdita del posto di lavoro sono diventate sempre più estreme. Per potere avere ascolto, visibilità e credibilità. Uno Stato, però, dovrebbe garantire sempre i diritti, invece che ricordarsene solo quando le persone salgono sui tetti o sulle gru. Uno Stato che fa arrivare i lavoratori a gesti tanto estremi, non è solo uno Stato distante che non salvaguarda i diritti dei suoi cittadini, ma è uno Stato cieco, che non vede più neanche i diritti. Non sa neanche di cosa si tratti. Ha altre preoccupazioni e arriva a prestare qualche misera attenzione ai lavoratori solo nel momento estremo in cui l'equilibrio tra sfruttati e sfruttatori mostra delle crepe e l'ordine costituito rischia di saltare.

In questo momento, esiliati sul tetto di una fabbrica, sotto la pioggia e il freddo, dovrebbero starci i vari amministratori delegati che fanno il bello e cattivo tempo; le banche e i maggiori azionisti delle multinazionali pronte a prendere incentivi pubblici e a partire per luoghi in cui sfruttare la manodopera è più facile.
Ora, però, ci sono gli operai lassù. A loro non si può che esprimere vicinanza, solidarietà e appoggio, ben consapevoli che in cima a un tetto per difendere un posto di lavoro potremmo arrivare a salirci tutti. Ora ci sono gli operai, lassù. Ma la disperazione e le ragioni pesano molto di più dalla loro parte. Le angolazioni e le "altezze" da cui vedere il mondo possono cambiare molto più rapidamente di quanto il Governo creda. Tetto e suolo, dentro e fuori, possono arrivare ad avere inquilini diversi.

Ora, però, dentro questa polveriera servirebbe un collante, un ponte di collegamento tra tutte le varie lotte: da quella per il lavoro a quella per il diritto allo studio e alla casa, da quella dei migranti a quella della comunità Glbt. Si tratta di lotte per i diritti che vengono di continuo negati. Sono lotte diverse ma uguali allo stesso tempo, perché lotte per la libertà e la democrazia.
Il collante non possono che essere sindacati radicali e rinati partiti di sinistra. Ma questi sembrano silenti, per il momento (infatti non sono nè così radicali gli uni, nè così di sinistra e rinati i secondi). Sembrano non sapere unificare le tante lotte sotto un unico linguaggio e incanalarle su percorsi sicuri ed efficaci.

Oggi, noi tutti sembriamo vivere in una nuova Babilonia, senza renderci conto che soffriamo degli stessi mali. Serve un atteggiamento nuovo, liberato dall'istinto individualista con cui il sistema ci ha cresciuti. E, poi, un linguaggio unico. Un linguaggio che prima di tutto si purifichi di termini e atteggiamenti di esclusione dei migranti. Un linguaggio che si liberi della "guerra tra poveri" che il sistema liberista ci sta facendo subire.
Il primo marzo ci sarà lo sciopero dei migranti. Una data storica per il nostro paese. Non gettiamola via.


lunedì 25 gennaio 2010

Vota Nichi, vota Nichi, vota Nichi...


Leggo con piacere della vittoria di Nichi Vendola in Puglia. I quasi 200 mila elettori di ieri hanno dato il vero senso alle primarie. Uno strumento che il Pd ha sempre adottato per legittimare un candidato già stabilito piuttosto che per farlo scegliere dall'elettorato. Ora, invece, i pugliesi hanno scelto in base alla propria volontà. E hanno scelto contro la linea dettata dai leader del partito. Hanno votato senza tenere conto delle alleanze strategiche con l'Udc. In sostanza, hanno votato in modo puro, cosa che i dirigenti del Pd, con la loro contrarietà a Vendola, hanno dimostrato di non capire.

Il Pd ora dovrà accettare la decisione delle persone e iniziare a riflettere sulla sua esistenza. Non a caso, la presidente del Pd, Rosi Bindi, in un'intervista a Repubblica dice "le Regionali devono essere un'occasione per costruire il partito e definire la sua collocazione politica". Infatti.

Innanzitutto, il Pd non ha capito che il suo elettorato avrebbe sostenuto Vendola. Oppure, se aveva intercettato questa volontà popolare, ha cercato di chiuderla sotto calcoli elettorali da ragionieri - dirigenti. E' arduo stabilire cosa sia peggio.
In secondo luogo, ha vinto un candidato non del Pd. Un candidato espressione di quella sinistra considerata estrema e radicale con cui il partito di Bersani non vuole avere più nulla a che fare.
Gli elettori hanno dimostrato, invece, che questa sinistra esiste e non ha intenzione di svendersi ai centristi. Hanno dimostrato che essere radicali significa semplicemente avere idee chiare di sinistra, concetto di difficile comprensione per un Pd che si affida persino a una liberista come la Bonino.
Questa vittoria di Vendola è, insomma, un segnale che può muovere le acque della palude in cui ristagnano tutti i partiti di opposizione.

Un segnale che se mette in crisi il Pd, deve allo stesso modo interpellare Vendola. Infatti, lui che ha operato una scissione da Rifondazione Comunista e ha fondato un partito con l'intento di entrare nell'orbita del Pd, si è visto negare proprio l'appoggio dal partito di Bersani. Il primo a opporsi alla sua ricandidatura è stata la volpe del Tavoliere (come lo chiamò Luigi Pintor), D'Alema. E, dietro a D'Alema, Bersani. Mentre un ex Margherita come Franceschini lo ha sostenuto e la Bindi ritiene oggi che il Pd avrebbe dovuto appoggiarlo dall'inizio. Una bella confusione che, però, non ci dice nulla di nuovo sul Pd, caotico partito del "maanchismo" veltroniano.
Il comportamento popolare in Puglia, però, ha un valore anche per Vendola che ora può ripensare la sua strategia e riconsiderare le sue posizioni. Decidere se usare il suo punto di forza per rivendicazioni all'interno del Pd, che possono valere solo fino a quando durerà la sua forza, oppure utilizzarlo per avviare un processo di ricostruzione a sinistra del Pd. Il popolo ha dimostrato di esserci. E non solo in Puglia.

Se si considerano le elezioni europee dell'anno scorso, Rifondazione (3,37%) e Sinistra e libertà (3,12%) hanno totalizzato il 6,5%, pur non superando, da sole, lo sbarramento e non entrando in Parlamento. Nonostante questa scomparsa di Rc e Sel dalle istituzioni, in Italia le persone che votano a sinistra continuano a esserci. Il Pd cerca di eliminarle ricattandole con la tagliola del "voto utile". Così che più si assottiglierà quello zoccolo duro che continua testardamente a non votare Pd, più D'Alema e Bersani avranno modo di rivendicare la correttezza del loro non trattare con le sinistre. Potranno sostenere, quindi, di non dovere tenere in considerazione i partiti di sinistra sempre più piccoli a livello elettorale, indeboliti dal voto utile al Pd.
In realtà, queste persone ci sono. Sta ora a Vendola, e Ferrero, raccogliere questi dati oggettivi e trasformarli in piattaforme politiche.
Il Pd, ora, potrà remare contro Vendola. Può anche arrivare a preferire la perdita di una regione alla vittoria di chi è stato voluto dalla gente, nonostante la sua linea. Se così sarà, il Pd segnerà definitivamente la sua fine, andando contro al responso delle primarie,(....e liberandoci dal ricatto del voto-utile).

mercoledì 20 gennaio 2010

Le donne e la politica

Sto sfogliando un libro dal titolo "La rete delle donne elette e nominate della regione Marche". Nella presentazione c'è scritto che "la distribuzione delle cariche istituzionali si è modificata positivamente a favore delle donne elette e nominate nelle Amministrazioni del territorio regionale". Il gentil sesso, perciò, sembra partecipare sempre di più alla gestione del potere.

In realtà, però, proseguendo nella lettura del libro si scoprono le tavole con i numeri e le percentuali di uomini e donne presenti nelle istituzioni. E i dati parlano chiaro: la componente femminile è ancora molto bassa.

Nella legislatura 2004-2009, il Parlamento europeo si è composto di 222 donne e 563 uomini. Dall'Italia, hanno preso il volo per Bruxelles 15 donne insieme a 63 uomini.
Alla Camera dei Deputati, abbiamo 109 donne e 521 uomini. Al Senato, 45 gonnelle e 290 pantaloni.
Lo stesso quadro si dipinge a livello locale. Nel Consiglio regionale abbiamo 7 donne e solo una in Giunta. Nelle 4 Province marchigiane siedono 14 donne come Consiglieri insieme ai 106 colleghi maschi; 9 sono Assessori di fronte ai 24 Assessori maschi e una sola presidente.

Stando a questi dati, risulta chiaro che la componente femminile poco partecipa alle istituzioni. Non solo. Bisogna ricordare che in Italia ci sono 7 milioni di donne lontane dal mondo del lavoro. Quindi, il problema non riguarda solo il mondo politico-istituzionale, ma in molti posti del nostro paese nasce da una cultura e una tradizione ancora concrete.

Ma perché le donne stanno lontano dal mondo della politica istituzionale? Si tratta di indifferenza, di difficoltà a partecipare a un mondo da sempre maschile o altro?

Di sicuro, ci sono molte cittadine che non hanno mai pensato di andare a riunioni di partito, congressi o manifestazioni. Ma, nella realtà, moltissime sono le donne che fanno politica. Si tratta di una politica non istituzionale. Una politica fatta nelle associazioni, nei centri anti-violenza, nei collettivi femministi e pacifisti. Queste donne sono un esercito che opera quotidianamente sul territorio e decide di stare fuori dai partiti e dalle sfere istituzionali.

Questo atteggiamento credo che sia in parte determinato dal fatto che la politica istituzionale è geneticamente maschile. Qualsiasi sistema di potere, dalla tirannia alla democrazia, è stato fatto dall'uomo e declinato sempre al maschile. Pure nelle differenze tra maggioranza e opposizioni (là dove ci sono!) il linguaggio utilizzato è da sempre quello dell'uomo. Alla donna che ha preteso e conquistato i suoi spazi non si chiede altro che di adeguarsi. Ecco perché, a mio avviso, le donne che vogliono fare politica usando altri linguaggi non riescono a entrare in quelle che sono dinamiche maschili secolarizzate.

Ora, la politica istituzionale ha bisogno di donne. Bisogna dimostrare agli elettori che la propria coalizione o il proprio partito dà spazio al gentil sesso. Ci ricordiamo Prodi quando disse "Voglio le donne nel mio esecutivo"? E addirittura, nel Lazio la competizione elettorale è tra due donne.
Ma sono sempre gli uomini dei partiti che decidono di candidare delle donne. Donne che di sicuro non metteranno in crisi il loro sistema di ragionamento perché lo hanno incamerato e accettato. Anzi, a volte le donne sono addirittura più brave degli uomini a portare avanti dinamiche politiche tipicamente maschili. Pensiamo a Condoleeza Rice, più guerrafondaia dell'allora presidente Bush.

Non c'è spazio per quelle che vogliono interpretare la politica in modo diverso. Non c'è spazio perché quegli spazi sono maschili e per gli uomini. In questo momento, in cui le differenze tra maggioranza e opposizione tendono ad appiattirsi, il senso profondo della democrazia è nelle mani di queste donne. Che rifiutano gli spazi politici che vengono loro concessi. Che continuano testardamente a leggere la realtà con occhi diversi e ad agire secondo la propria sensibilità, diversa, altra.

martedì 19 gennaio 2010

Oggi e dieci anni fa....

Oggi, 19 gennaio 2010, nasce questo blog. Informe e caotico, non si prefigge altri scopi se non quello di fotografare piccoli frammenti di ciò che chiamiamo realtà, o vita. Saranno scatti dettati da interessi, sensazioni o riflessioni. Senza pretesa di ragione.

Quindi, inizio a riflettere su questa data. Casualmente questo blog nasce oggi, tra le macerie di Haiti; le migliaia di persone che perdono il proprio lavoro e le commemorazioni per l'anniversario della morte di Bettino Craxi.

Su Craxi, molto c'è da dire e molto stanno scrivendo. Non aggiungo la mia "penna" alle altre, ben più prestigiose. Vorrei solo leggere la vicenda in un altro modo. Quelli che come me sono nati negli anni '80 non possono ricordare il periodo craxiano. Avremmo bisogno, innanzitutto, di studiarlo per poterci esprimere. Ma una domanda è giusto porcela: che significa riabilitare una persona? Perché abbiamo bisogno di intitolare una via o riabilitare un personaggio pubblico? Forse, perché ha qualcosa di valido da insegnarci.

E allora, la domanda è questa: cosa deve insegnarci Craxi? Se penso al leader del Psi, mi viene in mente la sua fuga.

In quanto cittadina, io voglio partire dall'idea che un uomo politico e pubblico deve sempre avere un profondo rispetto del popolo e delle regole che reggono lo stato. Ce lo ha insegnato Socrate che ha preferito subire l'ingiusta condanna a morte piuttosto che fuggire. Fuggire significa salvarsi da un processo e significa pure rinnegare il valore di uno dei tre poteri della Repubblica.
Perché, allora, riabilitare un uomo politico che per primo ha rinnegato il diritto del nostro paese? Ha preferito scappare piuttosto che fidarsi dell'ordinamento repubblicano e della legge. Lui che, ripetiamolo, è stato anche presidente del consiglio.

Dieci anni dopo, insomma, a una via nuova perché non dare il nome di Socrate? Di sicuro, ha qualche insegnamento più valido da darci ancora oggi.