mercoledì 20 gennaio 2010

Le donne e la politica

Sto sfogliando un libro dal titolo "La rete delle donne elette e nominate della regione Marche". Nella presentazione c'è scritto che "la distribuzione delle cariche istituzionali si è modificata positivamente a favore delle donne elette e nominate nelle Amministrazioni del territorio regionale". Il gentil sesso, perciò, sembra partecipare sempre di più alla gestione del potere.

In realtà, però, proseguendo nella lettura del libro si scoprono le tavole con i numeri e le percentuali di uomini e donne presenti nelle istituzioni. E i dati parlano chiaro: la componente femminile è ancora molto bassa.

Nella legislatura 2004-2009, il Parlamento europeo si è composto di 222 donne e 563 uomini. Dall'Italia, hanno preso il volo per Bruxelles 15 donne insieme a 63 uomini.
Alla Camera dei Deputati, abbiamo 109 donne e 521 uomini. Al Senato, 45 gonnelle e 290 pantaloni.
Lo stesso quadro si dipinge a livello locale. Nel Consiglio regionale abbiamo 7 donne e solo una in Giunta. Nelle 4 Province marchigiane siedono 14 donne come Consiglieri insieme ai 106 colleghi maschi; 9 sono Assessori di fronte ai 24 Assessori maschi e una sola presidente.

Stando a questi dati, risulta chiaro che la componente femminile poco partecipa alle istituzioni. Non solo. Bisogna ricordare che in Italia ci sono 7 milioni di donne lontane dal mondo del lavoro. Quindi, il problema non riguarda solo il mondo politico-istituzionale, ma in molti posti del nostro paese nasce da una cultura e una tradizione ancora concrete.

Ma perché le donne stanno lontano dal mondo della politica istituzionale? Si tratta di indifferenza, di difficoltà a partecipare a un mondo da sempre maschile o altro?

Di sicuro, ci sono molte cittadine che non hanno mai pensato di andare a riunioni di partito, congressi o manifestazioni. Ma, nella realtà, moltissime sono le donne che fanno politica. Si tratta di una politica non istituzionale. Una politica fatta nelle associazioni, nei centri anti-violenza, nei collettivi femministi e pacifisti. Queste donne sono un esercito che opera quotidianamente sul territorio e decide di stare fuori dai partiti e dalle sfere istituzionali.

Questo atteggiamento credo che sia in parte determinato dal fatto che la politica istituzionale è geneticamente maschile. Qualsiasi sistema di potere, dalla tirannia alla democrazia, è stato fatto dall'uomo e declinato sempre al maschile. Pure nelle differenze tra maggioranza e opposizioni (là dove ci sono!) il linguaggio utilizzato è da sempre quello dell'uomo. Alla donna che ha preteso e conquistato i suoi spazi non si chiede altro che di adeguarsi. Ecco perché, a mio avviso, le donne che vogliono fare politica usando altri linguaggi non riescono a entrare in quelle che sono dinamiche maschili secolarizzate.

Ora, la politica istituzionale ha bisogno di donne. Bisogna dimostrare agli elettori che la propria coalizione o il proprio partito dà spazio al gentil sesso. Ci ricordiamo Prodi quando disse "Voglio le donne nel mio esecutivo"? E addirittura, nel Lazio la competizione elettorale è tra due donne.
Ma sono sempre gli uomini dei partiti che decidono di candidare delle donne. Donne che di sicuro non metteranno in crisi il loro sistema di ragionamento perché lo hanno incamerato e accettato. Anzi, a volte le donne sono addirittura più brave degli uomini a portare avanti dinamiche politiche tipicamente maschili. Pensiamo a Condoleeza Rice, più guerrafondaia dell'allora presidente Bush.

Non c'è spazio per quelle che vogliono interpretare la politica in modo diverso. Non c'è spazio perché quegli spazi sono maschili e per gli uomini. In questo momento, in cui le differenze tra maggioranza e opposizione tendono ad appiattirsi, il senso profondo della democrazia è nelle mani di queste donne. Che rifiutano gli spazi politici che vengono loro concessi. Che continuano testardamente a leggere la realtà con occhi diversi e ad agire secondo la propria sensibilità, diversa, altra.

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