lunedì 8 marzo 2010

Intervista a Massimo Rossi


Riporto l'intera intervista che ho fatto, giovedì 4 marzo, a Massimo Rossi, candidato alla presidenza della regione Marche e sostenuto da Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Sinistra ecologia e libertà. Unico caso, nel panorama di queste elezioni regionali, in cui le sinistre sono unite.

Rossi incarna un'idea precisa di politica: quella della pratica democratica, dove la partecipazione e li rispetto dei diritti di tutte le persone sono fondamento e fine del ruolo di governo. Questa pratica politica, ancorata a valori democratici come il dialogo e l'ascolto, poco ha a che fare con le logiche di potere a cui governi, di vario tipo e di vari gradi, ci hanno abituati. Rossi ci dà una speranza che dobbiamo cogliere. Dobbiamo tutti tornare a capire che cosa è la democrazia; disabituarci a ritenere che contribuire alla lotta di pochi per il potere sia il male minore e pensare che è possibile attuare un'altra politica.


Le Marche sono l’unico caso in Italia in cui Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Sinistra Ecologia e Libertà sono uniti e insieme sostengono lo stesso candidato: lei. Come la sta vivendo?


La vivo molto bene perché fa parte della mia idea di politica. Quella, cioè, di trovare delle convergenze ampie sui progetti da realizzare, sulle modalità della politica e di governo. Quindi l’idea di una politica partecipata, di una visione del futuro che pone al centro i diritti e il concetto del limite. Perciò, un’idea di futuro che sia rispettoso di tutti, della giustizia e della solidarietà. Ecco su questi concetti si possono costruire delle grandi convergenze che, dico di più, vanno molto aldilà delle forze politiche che ora mi sostengono.

La mia storia personale è proprio caratterizzata da una convergenza forte tra tanti soggetti che, spesso, non avevano mai militato nei partiti e non si consideravano neanche di sinistra. Questo perché nella loro visione sinistra e destra erano riconducibili a determinati leader che non sempre danno la migliore prova di sé e né danno un’idea di coerenza. Questi soggetti magari non si dichiarano di sinistra, ma poi aderiscono alle nostre proposte. Quindi, questa unità la vivo bene e penso che sia una grande opportunità per sperimentare un pratica diversa del fare politica.


Spacca ha detto che dopo le elezioni vorrà tenere aperto un dialogo con Sel.


È sgradevole tutto questo perché dimostra un approccio. Cioè la politica viene vista come un contenitore di simboli, di sigle che poi devono attrarre il consenso dei cittadini sulla base di immagini, slogan, posizionamenti di carattere rappresentativo. E non si vede, invece, la politica come confronto e sintesi progettuale sulla base di quelle che sono le visioni del mondo. Quindi che dire? “Noi vogliamo confrontarci con questo o quell’altro, magari offrendo a questo o quest’altro posizioni, ruoli, incarichi….” È davvero spregevole.

Sicuramente, se sarò eletto, io cercherò tutte le convergenze possibili per raggiungere gli scopi e gli obiettivi di cui mi faccio portatore. Per esempio per far sì che la gestione dell’acqua non sia privatizzata. Per far sì venga approvata una legge che blocchi il consumo di territorio. Affinché venga valorizzato il piano energetico nazionale e non venga snaturalizzato dalla realizzazione di grandi impianti. Perché si vada a verso l’introduzione del reddito sociale. Su questo Spacca avrà quante convergenze vuole. Ma per quanto mi riguarda non sono interessato a un ruolo di governo. Io sono interessato a che le mie proposte da amministratore eletto siano tenute in considerazione e rispettate, e a che sia dato spazio a chi mi ha eletto. Così che le persone possano partecipare in maniera strutturata alle decisioni da prendere.

Io prefiguro invece, a differenza di Spacca, una modalità di rapportarmi a coloro che mi eleggeranno, e non solo, che veda un coordinamento permanente delle associazioni e dei movimenti e un confronto costante. Così da arrivare al punto di cedere sovranità a queste realtà, proprio per consentire alla politica di ripensarsi e ai partiti, che non godono di grande considerazione, di rinnovarsi, ripensarsi e aprirsi. In modo da avere un rapporto fecondo con la società e tornare a crescere, sia nel loro ruolo sia nelle dimensioni. Tornare a essere il luogo della democrazia.


Qual è la più grande differenza di programma tra lei e Spacca?


Molte cose ci differenziano. Potrei parlare, per esempio, della gestione dell’acqua, del consumo di territorio, della giustizia sociale e quindi del reddito sociale, e di molte altre cose. Ma quello che più di ogni altra cosa ci caratterizza è l’idea della politica e di democrazia.

Non è possibile fare piovere dall’alto delle decisioni anche le più giuste. Perché se i cittadini subiscono una legge, non la capiscono. Non si predispongono a rispettarla e attuarla, perché non ne capiscono le ragioni.

La democrazia invece è un momento di crescita per tutti. Tanto più in un momento in cui dobbiamo cambiare i nostri stili di vita e la nostra economia, che solo chi è ignorante non capisce. Basta leggere i dati che la comunità scientifica ci dà ogni giorno. E allora, se c’è bisogno di un cambiamento vero, e non di un compromesso costante tra i poteri forti (come Spacca e Marinelli sono abituati a fare), un cambiamento che consenta alle imprese di avere un loro spazio, ma dentro un quadro che vede come prioritario l’interesse pubblico, questo cambiamento può essere attuato non solo con abili e bravi amministratori, ma con i cittadini. Perché i cittadini dovranno avere la possibilità di decidere determinati no (la gran parte dei quali sono più che giusti: no a centrali che non hanno senso perché fanno arricchire chi le costruisce, ma non si cambia il prezzo dell’energia; no a strutture che uccidono la bellezza del territorio e tutto il resto) e assumersi la responsabilità e la bellezza di questo impegno a cambiare le loro abitudini e l’economia. E questo è possibile solo con la partecipazione delle imprese, dei cittadini che decidono i riutilizzare i rifiuti e di non produrne, che decidono di andare con i mezzi pubblici piuttosto che con l’auto privata. Insomma, c’è bisogno di scelte da fare a livello di governo e scelte che devono fare tutti. Cioè, scelte condivise e praticate da tutti. Ecco, quello che più ci caratterizza è la volontà di consentire ai cittadini di partecipare alle decisioni che li riguardano e di responsabilizzarsi per attuare quei cambiamenti dei loro stili di vita e l’economia.

Dico questo senza paura di sembrare teorico. Nella mia storia personale, infatti, ho avuto la possibilità di applicare questi modelli di condivisione e di democrazia partecipata. E devo dire che hanno dato grandi risultati in termini di sviluppo, di qualità, di prosperità dell’economia e di efficienza nei progetti decisionali. Un piano regolatore fatto con i cittadini, come nel mio caso, si realizza in 2 anni, perché nei comitati di quartiere non si tira la giacca al sindaco, ma si espongono i problemi reali di viabilità.


E su scala regionale è applicabile?


Questa pratica politica si può praticare anche sul piano regionale. Una legge sulla gestione della costa o sulle attività sportive, per esempio, è una palestra di democrazia. Perché si mettono insieme tutti i soggetti, si raccolgono le esigenze con modalità che vedono coinvolti i Comuni e le Province, con processi di condivisione con tempi definiti. Poi si fa la sintesi e si arriva a una pianificazione o a una programmazione normativa che è quella che concilia gli interessi del territorio e della comunità e vede tutti impegnati a attuare quelle scelte. Ci sono sperimentazioni interessanti in Puglia ed è dimostrato che si raggiungono più velocemente anche i risultati.

Su scala regionale questa pratica si può seguire e questo è uno dei punti deboli dell’amministrazione precedente: non ha ascoltato i territori, ha agito dall’alto e non sempre in modo trasparente. Non faccio questa critica ora, perché siamo in campagna elettorale. L’ho sempre rappresentata anche quando ero Presidente della provincia. Allora, ascoltavo gli attori del territorio e cercavo uno sbocco per quelle istanze a livello regionale: uno sbocco che non ho mai avuto perché si è preferito ascoltare i poteri forti.


Secondo Spacca, la regione Marche soffre di una carenza infrastrutturale che il progetto Quadrilatero tenderebbe a colmare. Contro quel progetto e quella società, così come in molti altri casi, sono nate le proteste di cittadini che denunciano il consumo di suolo e l'inutilità di queste grandi opere. Come conciliare, però, lo sviluppo di infrastrutture con la tutela dell’ambiente?


Innanzitutto bisogna sfatare il fatto che le Marche hanno carenza infrastrutturale in termini generici. Il reticolo viario delle Marche è uno dei più fitti a livello nazionale, se mettiamo insieme autostrada, rete regionale, provinciale, statale e comunale. Bisogna migliorare questa viabilità. A volte le infrastrutture che si realizzano sono di beneficio, ma, se le mettiamo in relazione al loro costo, ci fanno pensare che era meglio orientarsi in altro modo.

Quello che è carente è il trasporto ferroviario. L’ultimo scalo merci, nella nostra regione, verrà chiuso nel mese di marzo. Da quel momento non ci saranno scali merci che consentano al nostro sistema produttivo di trasportare le merci attraverso la ferrovia. Uno scalo merci permette di immettere più vagoni in un convoglio. Se non c’è uno scalo merci o tu azienda riesci a mettere su un treno o non puoi avvalerti di questo sistema. E quindi c’è un deterioramento di quello che è il sistema di trasporto delle merci. Non sono stati attuati gli interventi di miglioramento e, quindi, c’è una carenza delle infrastrutture, ma soprattutto dei servizi ferroviari.

Io penso che in tempo di crisi, in cui, piaccia o no, l’economia si va smaterializzando, in cui quindi i nostri prodotti dovranno essere sempre di più qualità e meno quantità, a maggior ragione le risorse, che spesso vengono sprecate in infrastrutture costosissime, devono essere incanalate nei saperi, nella ricerca e nelle infrastrutture immateriali come la rete informatica. E, per quanto riguarda quelle materiali, nel trasporto su rotaia. È un problema di risorse, ma anche di potere contrattuale. In Abruzzo, per esempio, la regione ha messo in campo delle risorse integrative per fare rimanere gli scali merci di cui parlavo prima.

Spesso si fanno esibizioni di forza per realizzare grandi infrastrutture, ma non per altri versanti, come quello ferroviario. Anche perché per il trasporto viario ci sono spesso spinte da settori privati che hanno interesse a assumere appalti per poi magari sub-appaltarli.


Dopo la legge regionale dell’anno scorso contro la delocalizzazione, proposta da Rifondazione comunista, cos’altro si può fare per garantire il lavoro nella nostra regione?


Ho presentato una proposta che va sviluppata. È quella di far sì che la regione Marche, attraverso una sua agenzia, magari riconvertendo società già esistenti come la Svim (Sviluppo Marche) che oggi ha un ruolo poco definito ed efficace sui problemi di crisi, intervenga nelle specifiche crisi, analizzandone i fattori interni e oggettivi. Deve valutare, cioè, se ci sono ragioni speculative alla base di quelle crisi, o se invece ci sono fattori oggettivi. Nel caso, e spesso oggi avviene, queste aziende possano essere salvate, perché sono in grado di produrre ricchezza e occupazione, il pubblico deve entrare con proprie risorse e competenze manageriali. Quindi assumendo un ruolo di partecipazione. Non è una parola eretica o scandalosa. Qualche mese fa poteva apparire così, ma di fronte al fatto che lo Stato è entrato per salvare le banche non vedo perché non debba intervenire per salvare delle imprese.

Ma non salvarle come è stato fatto in questi anni passati, con risorse a fondo perduto o ecoincentivi per poi lasciarle operare, magari delocalizzando, ma intervenendo sui precisi piani industriali con risorse, partecipazione azionaria e poi, dopo qualche anno, cessione di queste quote ai privati stessi, soci con diritto di prelazione o altri soggetti in grado di prelevare quelle quote. Quindi un cessione che avvenga una volta che questo processo di rilancio e di rafforzamento si sia avviato.

Questa azione è importante, altrimenti ci si limita a guardare questa tenzone tra le forze economiche prevalenti e, in una sproporzione abissale, i lavoratori. Certo, i soggetti che il pubblico deve mettere in campo in queste società devono avere grandi competenze manageriali e scientifiche. Devono essere in grado di esaminare i fattori industriali e formulare piani industriali. Non devono certo rispondere a logiche di appartenenza partitica.

Quanto si può dire che questa crisi non sia determinata, in parte minore o maggiore, da inadeguatezza della direzione delle stesse imprese? Quindi, immettere nuove competenze manageriali, svincolate da fattori di carattere speculativo, secondo me può essere l’immissione di qualità e di etica nel sistema industriale. In Friuli si è fatto. Una società pubblica, la Friulia, è entrata nel salvataggio e nel potenziamento di alcune aziende. Il Piemonte, con la sua finanziaria, è entrato nella crisi della Pininfarina. Facendo un accordo con il gruppo Bertone, la Regione ha acquistato lo stabilimento. Mentre il gruppo Bertone ha acquistato le attrezzature e ha preso in affitto lo stabilimento. Quindi la Regione recupera attraverso la locazione e si assume una quota di rischio nel piano industriale esaminato nella sua stessa finanziaria che prevede il rilancio di questo sistema dell’impresa in questione.


Scuola. Sanità e Risorse pubbliche. Tutti campi in cui sta entrando il privato…


Restiamo sul generale. Il sistema pubblico deve assicurare i servizi fondamentali per le persone. Parlo dei servizi che riguardano i diritti: quindi il servizio idrico, dei rifiuti, della fornitura energetica, dei trasporti. Noi siamo profondamente contrari a una gestione di questi servizi in un’ottica di mercato e di profitto. Non ci sono benefici laddove sono state fatte queste esperienze, perché molto spesso parliamo di monopoli naturali che non possono vedere la concorrenza per mercato, pensiamo al servizio idrico. Quindi, pensiamo che questo sia fondamentale perché la coesione è garantita da un sistema che offre a tutti queste opportunità. Le risorse pubbliche, perciò, devono essere orientate per questi servizi.

Il privato può operare, ma nel quadro di una limitazione e di un forte controllo della qualità degli standard. A maggior ragione in un momento di difficoltà di risorse, dobbiamo essere concentrati ad assicurare un sistema di servizi per tutti i cittadini. Non ci sono spazi per offrire opportunità di altra natura a soggetti che vogliono spostare il loro business, perché poi di questo si tratta.


Come commenta il no ai rigassificatori di Spacca?


Tardivo. Io ho letto il libro che Spacca ha scritto e dato ai dipendenti della regione. In questo libro, Spacca vanta di avere istruito due rigassificatori. Quindi, il suo No è tardivo e legato alla congiuntura elettorale. Ne prendo atto. Ma ritengo che la coalizione che ha messo in piedi e le forze economiche che gli sono vicine, è noto che Spacca sia vicino alla famiglia Merloni, possono indurre poi il governatore e la sua coalizione a mediare su questo terreno.

Secondo me ci sono terreni su cui si può mediare. Altri, come quelli che implicano l’uso di territorio o le trasformazioni impattanti per la vita dei cittadini, su cui non può esserci mediazione.

Noi abbiamo non solo la necessità, ma l’urgenza di cambiare. Prendo atto degli impegni di Spacca, ma credo che i cittadini dovranno continuare a tenere in piedi i loro comitati per vigilare molto molto attentamente. Questo in ogni caso: anche se fossi io il governatore.

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